LA FIOM HA VINTO CONTRO SEVEL: IL FASCISMO AZIENDALE È ILLEGITTIMO!
Il
comportamento della Sevel nei confronti della Fiom è fuori legge. La
condotta della Sevel è antisindacale. È illegittimo escludere dalle
fabbriche un sindacato che non è d’accordo con il padrone. Non si può
negare la democrazia in fabbrica; non si può imporre ai lavoratori di
farsi rappresentare dai soli sindacati che accettano ogni capriccio
padronale. Il fascismo aziendale pensato da Sevel e servilmente
accettato da Cisl, Uil, Fismic e Ugl è illegale.
Questa
è l’unica lettura politica e sindacale che può essere data della
sentenza che il tribunale di Lanciano ha emesso questa mattina,
accogliendo il ricorso contro la Sevel che la Fiom aveva presentato nel
marzo scorso, nel quale si denunciava l’esclusione delle Rsa Fiom dallo
stabilimento.
Chi
pensava di potersi arrogare il potere di cancellare la democrazia e la
libera rappresentanza sindacale in Sevel, questa mattina ha avuto una
sonora sconfitta. È chiaro che questa sentenza, che come Rifondazione
Comunista accogliamo con enorme soddisfazione, non riguarda solo la
Sevel. Con essa ne escono sconfitte le attività filo-padronali dei
sindacati firmatari, lo scorso 13 dicembre, del contratto Fiat di primo
livello. Quel giorno, Cisl, Uil, Fismic e Ugl stabilirono che i
lavoratori dovevano lavorare di più, dovevano avere meno diritti e che
chiunque si fosse opposto a questo arretramento delle condizioni di
lavoro doveva rimanere fuori dalle fabbriche.
Oggi
Sevel e sindacati firmatari, che fino a ieri coltivavano sogni di
importazione di condizioni di lavoro cinesi, sono stati riportati in
Italia, dove si può ancora godere di diritti sindacali e forme di tutela
nei luoghi di lavoro. Non poteva esserci notizia migliore alla vigilia
del 1° maggio, giornata di festa dei lavoratori e che ne celebra le
lotte.
Accettare
peggiori condizioni di lavoro non aiuta ad uscire dalla crisi, come gli
stessi licenziamenti in Sevel stanno a dimostrare.
Siamo
convinti che la sentenza di oggi, che si unisce a quelle che in altre
parti d’Italia ha già dato ragione alla Fiom contro la Fiat, possa dare
nuovo slancio alle lotte dei lavoratori per il rispetto dei loro
diritti. A partire dall’annullamento delle elezioni delle Rsa dei giorni
scorsi e dal rientro della Fiom in Sevel, occorre costruire percorsi di
lotta sindacale e politica contro il contratto Fiat e la scellerata
riforma del lavoro del governo Monti, in difesa dell’articolo 18 e per
una politica di giustizia sociale, di difesa dei diritti sociali e del lavoro.
Il Segretario regionale PRC Abruzzo
Marco Fars
Il Segretario provinciale PRC Chieti
Riccardo Di Gregorio
DIAZ, DON'T CLEAN UP THIS BLOOD
Ricordo che avevo solo
undici anni quando in quella calda estate guardavo al telegiornale il G8 di
Genova . Vedevo sfilare i cortei colorati del primo giorno, la tragica morte di
Carlo Giuliani e la “macelleria messicana” , come in seguito fu chiamata, della
scuola Diaz . Ricordo che in quei giorni l’attenzione era concentrata sulla
morte di questo “pericoloso” black bloc, della violenza di questi ribelli da
sedare a tutti i costi.. “Botte
manganelli e sangue” era la “formula magica” di quei giorni. I giovani
massacrati alla Diaz furono liquidati come black block asserragliati in una
scuola considerati pericolosi solo perché in possesso di due molotov!
Purtroppo solo dopo undici anni da questo tragico G8 qualcuno si è degnato di
fare luce sugli avvenimenti di quella triste notte della storia italiana e
mostrarli ai propri connazionali.
È in questi giorni nelle sale cinematografiche il film di Daniele Vicari: Diaz, dont’clean up this blood . Un film che ti stritola lo stomaco, fa venire la pelle d’oca per l’abominio compiuto da quei poliziotti che sembravano dei vampiri assetati di sangue e che non hanno risparmiato nessuno dai propri manganelli, neanche le persone più anziane.
Film di straordinario realismo cerca di far capire che in quella scuola non c’erano pericolosi black bloc pronti ad asserragliare Genova ma come invece ci fossero dei ragazzi giunti da tutto il mondo per dire no alle politiche neoliberiste in maniera pacifica e non violenta. Tra questi c’erano anche giornalisti che hanno contribuito a portare la loro testimonianza di quanto avvenne quella notte in cui furono violati tutti i diritti di una società che vuole dirsi civile.
È in questi giorni nelle sale cinematografiche il film di Daniele Vicari: Diaz, dont’clean up this blood . Un film che ti stritola lo stomaco, fa venire la pelle d’oca per l’abominio compiuto da quei poliziotti che sembravano dei vampiri assetati di sangue e che non hanno risparmiato nessuno dai propri manganelli, neanche le persone più anziane.
Film di straordinario realismo cerca di far capire che in quella scuola non c’erano pericolosi black bloc pronti ad asserragliare Genova ma come invece ci fossero dei ragazzi giunti da tutto il mondo per dire no alle politiche neoliberiste in maniera pacifica e non violenta. Tra questi c’erano anche giornalisti che hanno contribuito a portare la loro testimonianza di quanto avvenne quella notte in cui furono violati tutti i diritti di una società che vuole dirsi civile.
Questo film ha anche il
grande merito di far vedere le barbarie, che i manifestanti “sopravvissuti”
alla Diaz e trasportati alla caserma di Bolzaneto hanno dovuto subire. Di
fronte a quelle immagini ho pensato subito ad Abu Grhaib, alle torture
perpetrate ai prigionieri iraniani dai soldati americani nel 2004.. La Diaz mi ha dato l’impressione che potesse
essere usata come una prova generale delle future torture in quel carcere tanto
lontano da noi. Vicari però pecca nella scelta di non volere dare i veri nomi ai responsabili di questa vicenda.
Credo che, insieme con
il lucido realismo narrativo, il definire i “macellai” dovesse essere uno degli
obiettivi fondamentali del film , perché troppe volte ho sentito dire che era
giusto punire i pericolosi black block presenti in quella scuola, troppe volte
i canali informativi principali hanno fatto passare questa tesi ed ovviamente
la maggior parte delle persone prende per Vangelo ciò che quest’ultimi fanno
passare per vero, specie quando le notizie riguardano dei “pericolosi sinistroidi”.
Nonostante questa
pecca, questo rimane sempre il primo film il cui regista ha avuto il coraggio
di denunciare attraverso la pellicola cinematografica gli orrori di quella
notte alla scuola Diaz e quei giorni alla caserma Bolzaneto. Il sottotitolo del
film è Don’t clean up this blood, frase
che una manifestante, in una delle scene finali del film, scrive nella scuola Diaz
dopo la notte del massacro. Frase intensa e carica di significato vuole essere un ulteriore monito a punire i
responsabili di questa macelleria messicana che tutt’ora girano a piede libero,
anzi alcuni di questi sono stati anche promossi di grado, solo alcuni sono stati
puniti ma con pene irrisorie. Quel sangue non va lavato, dobbiamo essere noi a
portarne il ricordo e a far propria questa esperienza anche se eravamo “troppo
piccoli” o “troppo impegnati” per essere presenti, non permettendo che né in
Italia né nel resto del mondo avvengano nuovamente simili avvenimenti e che
vengano finalmente puniti i responsabili di questa tragedia umana consumatasi
nei giorni di quel lontano luglio.
Pierangela Suriani
Diaz, don't clean up this blood- il trailer, di Daniele Vicari, Italia-Francia-Romania, 2012
LA FABBRICA NON E' UN FEUDO. PRC SOLIDALE CON LAVORATORE LICENZIATO DA PILKINGTON
A quanto sembra la Pilkington vuole anticipare i tempi della riforma del lavoro, licenziando un lavoratore che fortunatamente può invece ancora godere del diritto stabilito dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ad essere reintegrato in caso di licenziamento illegittimo.
E tale ci appare quello subito da Alfonso Pacilli, essendogli stato comminato dalla Pilkington durante un periodo di infortunio sul lavoro. In questi casi la legge italiana parla chiaro: è di fatto vietato il licenziamento di lavoratori nel periodo di infortunio sul lavoro o malattia. A meno che non vi sia una giusta causa, e cioè avrebbe dovuto aver luogo un inadempimento o un comportamento del lavoratore tanto gravi che qualsiasi altra sanzione sarebbe stata insufficiente a tutelare l’azienda. Ma può essere una giusta causa l’aver deciso, come ha fatto Pacilli, di avvalersi del suo sacrosanto diritto di cittadino a rivolgersi ad un giudice per le ingiurie che ritiene di aver ricevuto da una persona che ricopre importanti funzioni aziendali? Evidentemente no.
Una situazione del genere, se venisse confermata nel caso del licenziamento di Alfonso Pacilli da parte della Pilkington, sarebbe inaccettabile e dovrebbe essere fortemente stigmatizzata da tutte le organizzazioni sindacali in primo luogo, ma anche dalle forze politiche e da qualunque cittadino. Non può infatti passare nemmeno l’idea che un lavoratore, varcati i cancelli della fabbrica, debba smettere di essere un cittadino con pieni diritti, per assumere un atteggiamento da servo nel feudo del padrone.
Rifondazione Comunista esprime piena solidarietà ad Alfonso Pacilli e
lo sosterrà nella sua battaglia per la tutela dei suoi diritti di
lavoratore e cittadino ed aderisce al presidio di protesta indetto dalla
confederazione Cobas per venerdì 4 maggio alle 10.30, davanti alla sede
di Confindustria Vasto.
Partito della Rifondazione Comunista
Circolo di Vasto "Sante Petrocelli"
CISL, UIL, FISMIC E UGL CHIEDANO SCUSA AI LAVORATORI
A 350 lavoratrici e lavoratori Sevel non
rinnoverà il contratto. Guarda il caso, la notizia arriva all’indomani
delle elezioni truffa per il rinnovo delle Rsa, alle quali non hanno potuto
partecipare Fiom e sindacati di base, per colpa del vergognoso contratto Fiat
firmato da Cisl, Uil, Fismic e Ugl.
Quel contratto,
che Fiom e sindacati di base non hanno firmato, conteneva accordi che secondo i
firmatari avrebbero dovuto tutelare la competitività aziendale. In sostanza, e
secondo i sindacati gialli Cisl, Uil, Fismic e Ugl, la limitazione del diritto
di sciopero, l’aumento dei ritmi di lavoro, la malattia non pagata per i primi
tre giorni, l’estromissione della Fiom dalla fabbrica e la conseguente
restrizione del diritto di rappresentanza dei lavoratori, avrebbero dovuto
accrescere la competitività della Sevel ed allargare l’indotto.
L’annuncio di Sevel di lasciare a casa 350
lavoratrici e lavoratori per mancato rinnovo del contratto, svela l’inganno
nel peggiore dei modi, perché a pagare
le conseguenze della complicità sindacale con il padrone saranno persone in
carne ed ossa con una famiglia da mantenere ed un affitto da pagare. Una
scelta, quella di Sevel, che tra l’altro di ripercuoterà in maniera pesante
sull’indotto, che conta due lavoratori ogni dipendente Sevel.
Il modello Marchionne si è rivelato un bluff
clamoroso con consistente perdita di quote di mercato. Quando le
istituzioni chiederanno conto dei fantomatici investimenti promessi da
Marchionne con "fabbrica Italia"? Da mesi sosteniamo che la "pomiglianizzazione" del
gruppo Fiat è un vicolo cieco a danno dei lavoratori e che non migliora la
competitività dell'azienda.
Anziché
continuare a chiedere alla Fiom di abbassare i toni, come fa qualche sindacato
firmatario a mezzo stampa, chi lo scorso dicembre ha firmato il contratto Fiat
dovrebbe finalmente tentare di recuperare un po’ di dignità sindacale, chiedere scusa ai lavoratori per quello
che stanno subendo in termini di peggioramento delle condizioni di lavoro e
sostenere la Fiom
ed i sindacati di base nella lotta a tutela dei diritti dei lavoratori.
Marco Fars - Segretario regionale PRC
Abruzzo
Riccardo Di Gregorio - Segretario
provinciale PRC Chieti
SEVEL: PRIMA SPREMUTI, POI LICENZIATI. 350 LAVORATORI A CASA
A 350 lavoratrici e lavoratori
Sevel non rinnoverà il contratto. Guarda il caso, la notizia arriva
all’indomani delle elezioni per il rinnovo delle Rsa, alle quali non hanno
potuto partecipare Fiom e sindacati di base, estromessi dalle elezioni per mano
di Fiat e sindacati gialli Cisl, Uil, Fismic e Ugl. In Sevel, come in ogni
altro stabilimento controllato da Fiat, potevano candidarsi a rappresentare
lavoratrici e lavoratori solo i sindacati firmatari, lo scorso 13 dicembre, del
vergognoso contratto Fiat di primo livello.
Quel contratto, che Fiom e
sindacati di base non hanno firmato, veniva dopo la sigla di precedenti accordi
in Sevel che, dietro la foglia di fico dell’assunzione a termine di lavoratori
o del rinnovo a tempo determinato di contratti in essere, andavano via via
peggiorando la vita degli operai. Così, da aprile a settembre sono stati
accettati: una nuova metrica che ha aumentato i ritmi di lavoro; clausole
di responsabilità che, in caso di comportamenti, anche fossero di singoli
lavoratori, idonei ad inficiare finanche lo spirito dell’accordo, l’azienda si
sarebbe liberata degli obblighi dell’accordo; straordinari per diversi sabati e
domeniche; premi di risultato fortemente discriminatori nei confronti dei
soggetti più deboli (come donne incinte o lavoratori con disabili a carico). Accordi
che hanno preparato il terreno al contratto Fiat oggi in vigore.
I sindacati “complici”, come
amava definirli l’ex ministro Sacconi, parlavano di buon contratto nonostante
contenesse la limitazione del diritto di sciopero, l’aumento dei ritmi di
lavoro, la malattia non pagata per i primi tre giorni ed altre limitazioni in
termini di diritti per chi lavora. C’era chi, come il segretario provinciale di
Chieti della Cisl (oggi primo sindacato in Sevel), Domenico Bologna
ostentava soddisfazione perché dopo la firma del contratto Fiat ci sarebbero
state «tutte le condizioni di competitività per continuare a crescere», oggi
smentite dai licenziamenti in Sevel. Addirittura, secondo le dichiarazioni
dello stesso Bologna, si stava «discutendo anche di come allargare l'indotto»,
che invece ora dovrà contrarsi, contando due lavoratori ogni dipendente Sevel.
In quell’occasione le accuse nei confronti della Fiom in particolare si
sprecarono. Anche relativamente alla Sevel c’era chi, come i dirigenti Uil,
lasciava intendere che a difendere i lavoratori ci avrebbero pensato loro,
accusando sostanzialmente la Fiom
e sindacati di base di fare i propri interessi, non firmando quel contratto.
Oggi, l’annuncio del mancato rinnovo
del contratto per 350 dipendenti Sevel, rende palese l’inganno secondo il quale
la competitività aziendale si migliora con lavoratrici e lavoratori che
lavorano sempre di più e sempre più faticosamente, riducendo i loro diritti
ed estromettendo dalle fabbriche i sindacati più combattivi. Un inganno del quale Cisl, Uil,
Fismic e Ugl si sono resi complici. Eppure, nonostante l’ormai evidente raggiro
subito dai lavoratori con il contratto Fiat, c’è chi, come il segretario
provinciale Fismic, Roberto Salvatore fa strumentalmente «appello anche alla Fiom ad abbassare
i toni affinché lo scontro non si esasperi». Di fatto appare un nuovo appello
ai lavoratori ad abbassare i pantaloni.
UN FILM PER UN 25 APRILE RESISTENTE!
L'UOMO CHE VERRA'
(Italia/2009) di Giorgio Diritti (117')
L'eccidio nazifascista di Marzabotto visto attraverso gli occhi di una bambina di sette anni. "Un film sulla guerra vista dal basso, dalla parte di chi la subisce e si trova suo malgrado coinvolto nei grandi eventi della storia che sembrano dimenticare le vite degli uomini. [... ] L'evolversi dei racconti è l'evolversi di quei tempi, dove la grande 'Storia', quella che troviamo nei libri e negli studi accademici, entra nelle case, sui sagrati, nelle chiese, ed uccide". (Giorgio Diritti). Coprodotto dalla Cineteca di Bologna, ha trionfato ai David di Donatello 2010.
Rifondazione: Sevel ha atteggiamento intimidatorio e fuori legge
Tutti sono uguali di fronte alla
legge, ma Sevel pretende di essere più uguale degli altri. Per questo,
nonostante lo scorso 30 gennaio due lavoratori abbiano vinto la causa contro la Sevel ed il giudice abbia
ordinato all’azienda di assumere i due lavoratori a tempo indeterminato, Sevel
non permette loro di rientrare in fabbrica. Quei lavoratori, che per ora stanno
subendo un’ingiustizia per il solo fatto di aver chiesto la garanzia di un
proprio diritto, non ricevono nemmeno lo stipendio. Si sono visti riconoscere
solo un risarcimento, pure ordinato dal giudice, di sole sei mensilità.
Considerando che stiamo parlando
dei primi due dei 150 ricorrenti contro la Sevel per le stesse ragioni, l’atteggiamento
dell’azienda lascia intendere una volontà intimidatoria, per cui il
comportamento nei confronti di pochi elementi serve ad avvertire tutti gli
altri di ciò che potrebbe spettare loro: perdita del lavoro e niente stipendio.
È da notare che nella causa vinta
dai due lavoratori era stato contestato alla Sevel l’assenza di ragioni di
carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificassero
l’apposizione di un termine al contratto di lavoro. La legge in vigore, in
questi casi, è chiara: in assenza di quelle ragioni l'apposizione del termine è
priva di effetto. Guarda caso la proposta Fornero di riforma del mercato del
lavoro prevede, tra le altre cose, proprio l’abrogazione della norma che
obbliga l’azienda a dichiarare le ragioni dell’utilizzo di un contratto a
termine. Il governo Monti quindi, sta cercando di dare legittimità al
comportamento fuori legge che Fiat sta assumendo nello stabilimento Sevel.
Riteniamo di una gravità inaudita
il comportamento di Sevel che deve essere stigmatizzato anche dalle
istituzioni, attraverso una dura condanna pubblica dell’atteggiamento
intimidatorio e fuori legge dell’azienda. In tal senso è stata presentata una al presidente Gianni Chiodi dal compagno Antonio Saia.
Crediamo inoltre indispensabile che la Regione Abruzzo e la Provincia di Chieti
chiedano un incontro con la direzione della Sevel, al fine di accertare la
volontà dell’azienda di stare su un territorio nel rispetto delle leggi. Per
parte nostra continueremo a sostenere le
lotte dei lavoratori per la tutela dei loro diritti, così vergognosamente
calpestati da chi, come Fiat, delocalizza le produzioni e vorrebbe importare
condizioni di lavoro cinesi.
Marco Fars - segretario regionale Abruzzo di Rifondazione Comunista
Riccardo Di Gregorio - segretario provinciale Chieti di Rifondazione Comunista
Marco Fars - segretario regionale Abruzzo di Rifondazione Comunista
Riccardo Di Gregorio - segretario provinciale Chieti di Rifondazione Comunista
La città cantiere:come ti disintegro il "Waste è belle e terra d'eure"
Sin dalla prima meta'
degli anni 2000 la morfologia di Vasto ha subito un netto cambiamento
attraverso una forte urbanizzazione dovuta essenzialmente alla
edificazione di immobili e villaggi residenziali. Tutto questo e'
stato possibile a causa di una liberalizzazione di alcuni comparti
delle destinazioni d'uso del Piano Regolatore Generale, lo strumento
municipale di normatizzazione urbanistica locale. Infatti durante il
mandato del sindaco Filippo Pietrocola (Casa Delle Libertà
all'epoca) fu approvata, nel Marzo del 2001, la possibilità di
utilizzare alcune grosse aree (in particolare C1 e C2, ovvero Zona
Sant' Onofrio e Via Del Porto) al fine di costruire. Cio' a cui si e'
assistito subito dopo e' stata una prepotente e gravosa presa dei
vari settori circoscrizionali. L'imprenditoria del mattone si e'
fregata le mani e ha cominciato la sua opera “creativa”. Una
forte presenza e' rilevabile da due matrici: la prima locale, fatta
di imprese artigiane o costruttori conosciuti, la seconda proveniente
dall'area provinciale foggiana con particolare interessa alla
Capitanata. Non escluse anche ditte molisane. Esse hanno approfittato
di una situazione molto favorevole: la deregulation in atto ha
permesso di fruire di qualsiasi terreno per erigere ogni tipo di idea
architettonica, finendo per ridisegnare in peggio la struttura
mentale dell'organizzazione urbana. L'idea che e' passata e' quella
per la quale ogni appezzamento potesse essere
preso d'assalto senza pensare minimamente a cosa avrebbe comportato.
Non importa se a 'spalla a spalla” con altri palazzi o al posto di
alberi da frutto, la parola d'ordine e' scavare fondamenta e
innalzare costruzioni. Ogni singolo spazietto angusto che ricadeva nelle
tanto bramate aree edificabili e' stato il sogno speculativo anche di
proprietari terrieri che hanno visto la possibilità di barattare un
campo agricolo o un caseggiato per renderlo ancora più proficuo dal
punto di vista volumetrico. Segno questo che anche una parte di
stessi vastesi ha contribuito a rendere un cantiere perenne la
propria città, traccia culturale che ricalca il pensiero unico dello
sviluppo in termini di soldi facili da realizzare svendendo al primo
palazzinaro che passa un patrimonio tramandato di generazioni. Le
zone più massacrate e sottoposte a spietato martellamento sono,
partendo da Sud verso Nord: via Luigi Cardone lato Est(con
particolare pericolo di slittamento verso valle), Via Palombari-Viale
Perth, Zona Terminal Bus, Circonvallazione Histoniense lato Ovest,
via Bachelet- via Giulio Cesare, viale Pertini- via Alessandrini, Via
Casetta, Circonvallazione Histoniense inizio lato Nord, dietro piazza
Giovine, via San Sisto, via Incoronata (quasi tutta, ormai talmente
allargata da sconfinare proprio su via San Sisto), Via San Rocco e la
parte poco più fuori del tessuto di via Del Porto. E senza
ovviamente dimenticare i complessi nati a Vasto Marina, partendo da
Fonte Ioanna e via Istonia, attraversando via Martiri Istriani, la
parte sovrastante via Spalato,via Austro, via San Tommaso (zona Park
Hotel e di fronte Hotel Palace),via Selvotta, zona stazione F.S e
giungendo sino ala Strada Statale 16 Sud di fronte Hotel Perrozzi.
Dimentichiamo qualcosa? Si, tutta la parte verso il mare della
collina di Montevecchio, poco resistente a colate mastodontiche. E
neanche la costa e' imbattuta. Si pensi alle villette a due metri
dall' acqua già denunciate dall'associazione ARCI a San Nicola e a
quelle sotto sequestro in località La Canale in posti a rischio
erosione. Sara' curioso vedere fra 30 anni abbandonare tali
abitazioni signorili da parte dei proprietari perché in pericolo
imminente di caduta. A tutto ciò vi sono da aggiungere singole
superfici con abitazioni mono familiari in periferia o unici palazzi
il cui peso specifico su di un' area insiste relativamente meno dei
grandi ammassi, ma che se sommate, probabilmente formerebbero assieme
un rione. Ma quali sono state le conseguenze? Per i fautori dello
sviluppismo e del cemento la risposta e': il lavoro! E poi introiti
di urbanizzazione per il Comune (3 milioni di euro nel solo 2007*).
La cantierizzazione perenne ha portato pero' molti effetti non
piacevoli. Primo fra tutti i disagi stradali dell' aumento del
volume di traffico dovuto alla circolazione dei mezzi pesanti. Si
aggiunge il continuo smantellamento del rivestimento stradale per gli
allacci alle varie reti idriche e fognarie che, rifatti alla meno
peggio o non rifatti per nulla, creano pericoli circa la sicurezza
veicolare. Ma questo e' 'il minimo”. Le vere conseguenze si
hanno nelle centinaie di locazioni invendute e sfitte che per
ora non trovano collocazione di mercato perché in netto surplus
rispetto al reale fabbisogno cittadino, e nonostante il censimento
del 2011 abbia rilevato che la popolazione sta toccando quasi quota
42mila**. E soprattutto si hanno nel forte depauperamento che
le colate di calcestruzzo hanno portato rispetto alla fruibilità dei
quartieri, inscatolati in sempre più strette viuzze. Anche i parchi
residenziali hanno creato isolati e blocchi avulsi dal significato
culturale originario del tessuto urbanistico. A disdetta del loro
nome sono di un impatto notevole nel
consumo di ampie superfici quasi sempre sottratte
all'agricoltura. Diversi ettari di flora sia dentro che fuori le
“mura” cittadine sono state letteralmente rase al suolo e le
ripiantumazioni sono una sorta di “foglia di fico” ad emarginare
l'alterazione dei luoghi. Non solo. In alcuni casi la crescita
smisurata e incontrollata ha creato situazioni in cui non ci si era
premuniti di fare i necessari collegamenti dei servizi, idrico,
fognario e stradale (via Alborato). Le Norme tecniche di attuazione
(approvate nel Dicembre del 2010) hanno solo limitato i danni e dato
qualche vincolo in più rispetto ad altezze,cubature e dimensioni di
un fabbricato. Ma una sentenza del TAR Abruzzo le ha recentemente
annullate a Dicembre 2011 a causa della mancanza della Valutazione
Ambientale Strategica e da rivedere entro 8 mesi dalla sentenza.
Questo perché le restrizioni necessarie erano state talmente elevate
che la modifica ha comportato
un vero e proprio riassetto della pianificazione. E ciò rende idea
di quanto il solo PRG era cosi' sregolato da dover comportare un
forte freno tale da far considerare le NTA, agli occhi di un ente
giuridico esterno, una sorta di variante al Piano Regolatore stesso.
Il disfacimento di Vasto ha già dato questi frutti. E se si dovesse
continuare su questa strada il “Waste è belle e terra d’eure”
rimarrà solamente una canzone popolare che ricorderà di quando il
rapporto cultura/ambiente era un poco migliore. Sta agli
amministratori in primis e ai suoi abitanti poi dedicare attenzione e
non svendersi alle tentazioni ammaliatrici dell'arricchimento
individuale a danno della collettività.
* Relazione su
rendiconto di gestione 2007, pag 93.
**http://www.vastoweb.com/mobile/notizie/vasto-popolazione-in-crescitai-residenti-salgono-a-42mila-14152.html
Foto ritraente Fonte Ioanna (tratta da Histonium.net)
I fiumi che inquinano ed altre follie: è Primavera
Quando si tratta di
contrapposizione ideologica tra industria e ambiente, Paolo Primavera,
presidente di Confindustria Chieti può certamente essere menzionato tra i
maggiori esponenti. Di dimostrazioni in tal senso non ha fatte mancare in
passato e soprattutto negli ultimi tempi, con le contestazioni territoriali
contro le ipotesi di centrali a biomasse, impianto di trattamento rifiuti e
cementificio a ridosso della riserva di Punta Aderci, Primavera si lascia
andare a dichiarazioni frequenti sul futuro di Punta Penna. Pochi giorni fa, in
merito al documento approvato a Vasto da Comune e Provincia di Chieti
attraverso il quale si dichiarano sostanzialmente le intenzioni di degli enti
di non permettere l’installazione di nuove industrie a Punta Penna, Paolo Primavera
ha rilasciato sul quotidiano Il Centro delle dichiarazioni nel migliore dei
casi poco lungimiranti. Ma si è spinto fino al grottesco ed all’insensatezza.
È evidente, nei commenti di
Primavera, quella contrapposizione ideologica di cui si diceva sopra. Un
concentrato ideologico che lo porta ad osservare la situazione locale ed il
possibile sviluppo dell’area di Punta Penna (e non solo), esclusivamente dal
lato industriale. In sostanza il concetto è che le aziende devono essere
lasciate fare, che sono loro che fanno il reddito. Ora, a parte il fatto che il
reddito lo fanno i lavoratori, è palese come Primavera non abbia la benché
minima intenzione di valutare altre prospettive. E se non fosse chiaro, il
presidente degli industriali di Chieti specifica meglio il concetto parlando di
«ambiente e turismo», come un filone da cui non si riuscirebbe «a creare posti
di lavoro e ricchezza per i residenti» e pertanto se venisse adotta, «questa
politica impoverirà il Vastese perché paralizza gli investimenti e
l’occupazione facendo aumentare precarietà, disagio e malavita».
A Paolo Primavera deve essere
sfuggito il rapporto sviluppato dall’Osservatorio Ecotur costituito da Istat,
Enit e Università dell’Aquila. In quel documento, recentemente presentato alla
Borsa internazionale del turismo natura, si evidenzia che il turismo ambientale
è un settore in crescita nonostante la grave crisi economica. Si parla di
qualcosa come 11 miliardi di fatturato nel 2011 grazie ad un movimento
turistico che ha registrato quasi 100milioni di presenze. E L’Abruzzo, in
questo ambito, vanta il primato nella graduatoria dei parchi più richiesti. In
questo settore potrebbe inserirsi anche il costituendo Parco nazionale della
Costa Teatina, che vede vi Vasto compresa con la più ampia estensione di
territorio tra le località che ne fanno parte.
Eppure questa opportunità, che
ovunque si è dimostrata capace di dare risposte positive in termini di qualità
di vita e ricchezza per i residenti, per Paolo Primavera potrebbe risolversi in
un’apocalisse per il territorio vastese. Un punto di vista che non potrebbe
avere sbocchi diversi, se i presupposti sono quelli di vedere la «tutela
ambientale» come uno strumento con il quale «si mortificano le industrie»,
anziché come approccio per uno sviluppo che non abbia il profitto al centro di
ogni considerazione.
A questo punto si dovrebbe
considerare la possibilità di una politica che sappia trovare strumenti per
contabilizzare non solo la ricchezza prodotta, ma i costi a carico della
collettività, causati dai danni ambientali dovuti alle attività industriali. Ma
in questo caso Paolo Primavera quei costi saprebbe bene a chi farli pagare.
Alle industrie ad alto impatto ambientale? Neanche per sogno, visto che «le
industrie sono tenute per legge a salvaguardare l’ambiente e lo fanno». E
allora, chi è che dovrebbe pagare? Probabilmente i fiumi, che secondo il
presidente di Confindustria di Chieti sono «la prima fonte di inquinamento del
territorio». E nonostante questa considerazione, la follia, secondo Paolo Primavera, sarebbe l'ipotesi di delocalizzazione... Sic!
Resistenza: un'oasi tra "silenzio e deserto". Omaggio ai lettori de L'AltraCittà: il libro "Senza tregua" del comandante Visone
«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra
costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle
carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati.
Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità,
andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra
costituzione.»
Così si rivolse Piero
Calamandrei,
in un discorso sulla Costituzione nata dalla Resistenza, tenuto a Milano il 26 gennaio 1955 davanti ad una platea di giovani. La Costituzione di cui parlava Calamandrei
da pochi giorni è stata umiliata con l'inserimento del pareggio di bilancio. Lo scorso 11 aprile due terzi del Parlamento italiano ha
votato a favore di una norma che ha stravolto la Costituzione
repubblicana ed ha dichiarato, in sostanza, che il pareggio del
bilancio statale viene prima delle garanzie costituzionali in materia
sociale. Due terzi del Parlamento italiano, composto da rappresentati
del PD, del PDL e dell'UDC, ha umiliato la Costituzione e quei
partigiani che caddero per liberare l'Italia dal nazifascismo
consentendo, anni dopo, la nascita della Costituzione.
Oggi,
ad osservare come la lotta partigiana viene sempre più dimenticata e,
si potrebbe dire nei fatti denigrata; nel considerare come la
commemorazione della Liberazione sia diventata negli anni per lo più un
vuoto e stanco rito; a notare con sempre maggiore disinvoltura si
tollerino gruppi ed iniziative neofasciste; ci si accorge quanto valide
siano ancora oggi le parole di Pier Paolo Pasolini, che innalzando la
Resistenza ad esperienza democratico-rivoluzionaria notava come intorno
ad essa ci fosse «silenzio e deserto»
E
allora per parte nostra, a pochi giorni dal 67° anniversario della
Liberazione, vogliamo provare ad indicare una piccola oasi in mezzo a
tanto squallido deserto e desolante silenzio: l'invito alla lettura di
"Senza tregua" (), il libro di Giovani Pesce, comandante partigiano
"Visone".
Nei libri sulla guerra partigiana non mancano certo le rievocazioni delle gesta dei GAP (gruppi di azione patriottica), cioè di quel pugno di uomini che a Milano o a Torino, a Firenze o a Bologna, inchiodarono per mesi e mesi ingenti forze nemiche e prepararono nei centri urbani del Nord la vittoriosa sollevazione dell'aprile '45. Mentre però delle grandi formazioni di montagna si è ricostruita organicamente la storia, della lotta dei GAP condotta senza tregua dentro e contro il gigantesco apparato di morte nazifascista non si ha, non si può avere che una fredda cronologia di azioni armate, ciascuna in sé isolata, una successione di fulminei colpi di mano, un nudo elenco di combattenti solitari. E di caduti. L'aspetto terrificante del-la guerriglia urbana non stava solo nell'incombente ferocia dei croceuncinati, e dei loro sgherri in camicia nera, ma anche nell'insidia logorante delle spie, dei delatori, dei provocatori; e quindi nel vuoto impietoso che l'uomo dei GAP era costretto a farsi attorno per difendere se stesso e l'organizzazione.
Giovanni Pesce, figura leggendaria della guerra partigiana, ci dà in questo libro oltre all'incredibile resoconto delle sue azioni di gappista (che gli valsero la medaglia d'oro) anche le dimensioni psicologiche della sua grande avventura. Sono pagine scarne, senza retorica, senza il minimo compiacimento, nelle quali l'inevitabile crudezza degli atti di guerra è temperata dai ricordi e dai sogni di un uomo che pur da sempre impegnato nella lotta per la libertà, in Italia come in Francia e in Spagna, non ha mai acquisito il gelido abito del giustiziere; ogni atto di forza, ogni condanna eseguita, ogni azione violenta ha trovato in lui prima che un esecutore implacabile un giudice sereno e umano dalla coscienza lucida, aperta ai grandi problemi morali che animarono il nostro secondo Risorgimento.[Dalla seconda edizione Feltrinelli che il sito Biblioteca Multimediale Marxista ha reso gratuitamente disponibile]
Donazione del sangue e omofobia alla ASL Lanciano-Vasto
Ricordate quella pubblicità "regresso" di una ventina di anni fa in cui si affrontavano le problematiche inerenti alla trasmissione del virus dell'HIV, mostrando le persone contagiate circondate da un'alone viola?
Beh.. la ASL Lanciano-Vasto sta facendo qualcosa di simile nei confronti di persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, consegnando a chi desideri donare il sangue presso il Servizio aziendale di immunoematologia e medicina trasfusionale dell'Ospedale “Floraspe Renzetti”, un documento informativo, discriminatore e nettamente distante dalle più
elementari conoscenze medico scientifiche in tema di trasmissione delle
malattie a contagio sessuale.
In questo documento sono riportati i criteri di esclusione alla donazione. Tra i primi punti di un elenco di 11 condizioni che precludono
all’aspirante donatore di offrire al prossimo il proprio sangue; si
legge al numero 2, la dicitura: “Rapporti omosessuali” e al numero 3:
“Rapporti sessuali con persone sconosciute”.
Nel leggere questi punti non vi sono dubbi che l'interpretazione più letteralmente esatta è quella che sottintende che basta che un rapporto sia omossessuale perchè il virus venga trasmesso.
Così come è stato dimostrato che la trasmissione del virus avviene tra persone conosciute allo stesso modo e in egual misura che tra persone sconosciute, soprattutto nel caso dell'HIV che ha un periodo finestra di 6 mesi, e non presenta sintomatologia rimanendo silente anche per anni.
In altri termini, non basta essere eterosessuali ed avere rapporti con
partner conosciuti per scongiurare la trasmissione del virus.
Quello che colpisce è che in questo documento informativo non si fa MAI menzione di "rapporti protetti" e consapevoli, anzi pur di evitare di usare una terminologia che probabilmente offende quel senso cattolico di cui è impregnata la nostra società, si ricorre alla divulgazione di concetti ambigui e pseudoscientifici che fanno quasi passare l'idea che il sangue di una persona gay sia infetto o rischioso a prescindere.
In questo modo si alimenta odio, bisognerebbe essere ben consapevoli che la discriminazione e l'omofobia sono una delle forme più alte di violenza nell'attuale società.
E' necessario rafforzare il senso di responsabilità di tutte e tutti e, per prime, le Istituzioni, dovrebbero usare un linguaggio attuale e cauto,
conscie del danno che ogni leggerezza ed ogni
approssimazione può produrre.
Bisognerebbe avere la massima attenzione a non vanificare l'immane lavoro di chi lotta quotidianamente per la tutela dei diritti fondamentali
dell’essere umano: contro l’omofobia, la transfobia ed ogni altra forma
di ingiusta ed assurda discriminazione.
I lavoratori confermano: vogliono la Fiom in Sevel
In Sevel Fiom si conferma
importante forza sindacale. Per quanto il gruppo Fiat tenti di buttare fuori
dai suoi stabilimenti i metalmeccanici della Cgil, di fatto ancora non è
riuscito a mettere fuori dai cancelli il dissenso delle lavoratrici e dei
lavoratori verso l’accordo dello scorso dicembre.
Le informazioni che ci giungono
circa i risultati delle RSA Sevel conclusesi questa mattina, dimostrano
chiaramente la volontà dei lavoratori a non abbandonare una lotta per la
rappresentanza e per la democrazia in
fabbrica. Le oltre 1300 schede nulle contate (erano solo 123 nelle elezioni
2009, comprese le schede bianche) dimostrano che l’invito di Fiom ai lavoratori
di recarsi alle urne ed annullare la scheda è stato largamente accolto. E’
evidente quindi che i lavoratori vogliono poter scegliere da chi essere
rappresentati e perciò confermano la loro opposizione alla logica contenuta nel
contratto Fiat, che vorrebbe restringere la rappresentanza sindacale alle sole
organizzazioni d’accordo con l’azienda e che appongono la loro firma su accordi
che aumentano i ritmi di lavoro e diminuiscono i diritti per i lavoratori.
Lo stesso aumento vertiginoso
dell’astensione (quasi raddoppiato rispetto al 2009), lascia ben supporre,
nelle condizioni attuali, la sfiducia di molti lavoratori in uno strumento,
quale dovrebbe essere quello delle elezioni delle RSA, che non ha più nulla di
democratico e nulla di realmente rappresentativo negli stabilimenti del gruppo
Fiat.
Dopo l’importante risultato di
queste elezioni, merito della lotta che Fiom continua a condurre per la difesa
di diritti fondamentali dei lavoratori nonostante gli sia negata l’attività
sindacale, si attende con ancora maggiore interesse la pronuncia del Tribunale
sul ricorso presentato da Fiom contro la condotta antisindacale di Sevel.
Come Rifondazione Comunista,
continueremo a sostenere le iniziative di lotta della Fiom, con la quale
continueremo a costruire lotte per la tutela dei diritti dei lavoratori sempre
più compromessi dal governo Monti, non ha caso molto apprezzato da Marchionne.
Marco Fars - Segretario regionale PRC Abruzzo
Riccado Di Gregorio - Segretario provinciale PRC Chieti
Il Partito Democratico contro il pareggio di bilancio. Ma è quello americano
Questa settimana la Camera dei Rappresentanti dovrebbe votare su un emendamento alla Costituzione per introdurre il pareggio di bilancio. Se approvata, la proposta repubblicana richiederebbe profondi tagli alla spesa che potrebbero compromettere tutto,
dall’istruzione al Medicare (programma sanitario pubblio, ndr) ai
programmi nutrizionali e sulla salute per i bambini a rischio. Ecco uno
sguardo sull’impatto devastante che questo emendamento, ardentemente sostenuto da Mitt Romney e dai suoi colleghi candidati repubblicani, potrebbe avere sulla classe media americana.
Ti stai chiedendo come il pareggio di bilancio ti riguardi? Questi
sono solo alcuni dei modi in cui i tagli potrebbero realizzarsi negli
stati dell’Unione, il tutto mentre Romney e i candidati repubblicani
stanno proponendo oltre 200 miliardi di dollari all’anno di tagli
fiscali per le imprese e gli americani più ricchi:
il Medicare (programma sanitario per gli anziani, ndr) potrebbe essere ridotto di:
- 2,4 miliardi in Virginia
- 4,4 miliardi di dollari Michigan
- 1.1 miliardi in Iowa
Tagli alla Social security (pensioni, ndr):
- 12,9 miliardi dollari in Florida
- 3,7 miliardi dollari nel Arizona
- 5,9 miliardi dollari in North Carolina
Medicaid (programma sanitario per le famiglie a basso reddito, ndr) e
CHIP (programma sanitario specifico per i bambini, ndr) potrebbero
essere ridotti di:
- 3,3 miliardi di dollari Ohio
- 3,6 miliardi di dollari Pennsylvania
- 1,9 miliardi dollari in Georgia
Il budget per l’istruzione primaria e secondaria potrebbe essere ridotto di:
- 26,5 milioni dollari in Colorado
- 36,9 milioni dollari in Wisconsin
- 19,7 dollari in New Mexico
Scempio a San Nicola: distrutta e recintata un'area verde
Recintata e distrutta un'area verde, impedito l'accesso al mare. ARCI e WWF: atto assurdo. Si dia attuazione alla Legge 5/2007 e al "Sistema delle Aree Protette della Costa Teatina"
Le
Associazioni ARCI e WWF Zona Frentana e Costa Teatina hanno appreso
nelle scorse ore di un atto incredibile avvenuto in località San Nicola a Vasto.
Moltissimi cittadini hanno infatti segnalato che un'area nei pressi del
parcheggio è stata recintata, rendendo impossibile l'accesso alla
spiaggia, e fatta oggetto di una "pulizia" che ha danneggiato
profondamente biancospino e altre piante di macchia mediterranea ivi
presenti. I rappresentanti delle due associazioni hanno già contattato
il Sindaco Luciano Lapenna, l'Assessore all'Ambiente Anna Suriani e
l'Assessore ai Lavori Pubblici Marco Marra che si sono attivati
verificando l'accaduto con gli uffici comunali preposti.
Bloccare
l'accesso al mare significa impedire il libero e legittimo godimento di
un diritto pubblico importantissimo. La suggestiva e bellissima
spiaggia di San Nicola è un bene collettivo di proprietà dell'intera
cittadinanza, vastese e non solo. Non è quindi accettabile che privati,
con atti unilaterali, vengano a privarne la collettività. L'azione di
"pulizia" rende quanto accaduto ancora più grave evidenziando scarsa
attenzione e tutela del patrimonio verde.
Negli
anni ci siamo mobilitati innumerevoli volte per chiedere la
salvaguardia del territorio e del litorale vastese, compresa la spiaggia
di San Nicola. Davanti a questo nuovo atto, che a noi appare assurdo e
inqualificabile, torniamo a chiedere l'attivazione di tutti gli
strumenti amministrativi e politici per la tutela della costa vastese.
La Legge n.5/2007, che istituì il Sistema delle Aree Protette della Costa Teatina, stabilisce precisi divieti e tutele nell'area 150 metri a monte e a valle dell'ex tracciato ferroviario, destinato a diventare la "Via Verde della Costa Teatina".
Chiediamo che la provincia, che diventerà proprietaria delle aree di
risulta con il Protocollo d'Intesa firmato con "Ferrovie dello Stato",
si attivi al più presto per un censimento dei terreni che la stessa
"Ferrovie dello Stato" ha dato in concessione ai privati ed attivi
subito procedure per rientrarne in possesso così che questi terreni
possano tornare di proprietà pubblica. La stessa legge 5/2007 prevedeva
che, entro 60 giorni, dovesse essere avviata la procedura per la
redazione del Piano di Assetto Naturalistico e che, entro il 31 gennaio di ogni anno, la Provincia avrebbe dovuto predisporre ed approvare il Piano di Gestione.
Tutto questo è sostanzialmente rimasto lettera morta mentre, come la
triste attualità di oggi ci dimostra, sono stati innumerevoli gli atti
di privati in direzione diametralmente opposta. Torniamo quindi a
chiedere con forza che venga recuperato il tempo perso e si dia piena
attuazione alla Legge n. 5 del 2007. Ricordiamo, infine, che dallo
stesso 2007 si attende anche l'istituzione (finita totalmente nel dimenticatoio!) della Riserva Naturale di Casarza.
Il non aver adempiuto a tutto ciò, abbandonando questo bellissimo
tratto litoraneo, ha portato ai risultati che tutti possiamo vedere con
un'espansione edilizia totalmente incontrollata.
ASSOCIAZIONE ARCI VASTO
ASSOCIAZIONE WWF ZONA FRENTANA E COSTA TEATINA
[Fonte: I Colibrì]
Ri-appropriarsi dei tempi. Do Nothing Day: l'inazione come forma di azione
Mercoledì 4 aprile 2012, Grecia – Un
farmacista in pensione, Dimitris
Christoulas, si suicida con un colpo di pistola alla tempia. Ad Atene. All'ingresso di una stazione della metropolitana. Nei pressi del parlamento. Ora di punta. Sul suo corpo, un biglietto:
Il governo Tsolakoglou (*) ha letteralmente annientato la mia capacità di sopravvivere con una pensione decente, per la quale avevo già pagato (senza aiuti dallo stato) 35 anni di contributi.Ho un’età che mi impedisce una reazione più attiva (ma se qualcuno decidesse di impugnare il kalashnikov, sarei il primo a seguirlo), non ho altra soluzione che farla finita in modo dignitoso, prima di ridurmi a rovistare nella spazzatura per poter mangiare.Io credo che un giorno i giovani senza futuro prenderanno le armi e appenderanno i traditori del Paese in Piazza Syntagma, come fecero gli italiani con Mussolini nel 1945.(*) Georgios Tsolakoglou fu il primo ministro collaborazionista durante l'occupazione tedesca del 1941-42, il biglietto stabilisce subito un parallelo tra quel governo d'occupazione e l'attuale governo Papademos.
Il suicidio di Christoulas non è un evento isolato,
per quanto questo si differenzi da altri casi simili per la chiara connotazione politica del messaggio. In Grecia il tasso di suicidi nei primi cinque mesi del 2011 è cresciuto del 40%, ma anche in altri paesi europei toccati dalla crisi
economica, come l’Italia (1; 2; 3), si sta registrando un sensibile
aumento di quelle che gli psichiatri si sono affrettati a definire “morti economiche”
– eufemismo per “omicidi perpetrati da un disumano sistema economico in crisi”
– senza tener conto della durata di
queste morti.
Sono «morti lente», come giustamente le chiama Valerio Monteventi, inserendo il fenomeno in una cornice temporale, «lente perché non avvengono improvvisamente, seguono un travaglio
che accompagna il soggetto per giorni e per mesi prima di arrivare alla tragica
scelta».
Si tratta, infatti, di lavoratori
e lavoratrici che hanno perso il posto di lavoro, che faticano ad arrivare alla
fine del mese svolgendo lavori precari o sottopagati, che non riescono a
trovare alcun tipo di occupazione, e decidono di togliersi la vita, di farla
finita. Il suicidio appare non solo l’unica degna alternativa ad una vita
indegna d’essere vissuta, ma anche la sanzione fisica di una morte sociale già
avvenuta.
Inoltre, se al numero delle morti volontarie di persone suicide si somma quello dei lavoratori uccisi dalle sempre più precarie
condizioni di sicurezza sul posto di lavoro – dacché anche una riduzione delle
tutele fisiche è diretta conseguenza di quello smantellamento sistematico dei
diritti dei lavoratori in atto già da diversi anni – il computo dei morti per la crisi è destinato a crescere in
maniera considerevole e assumere dimensioni terrificanti.
E va rilevato anche un altro
dato preoccupante. Invece di fornire adeguati materiali informativi per
poter meglio affrontare riflessioni critiche sulle dinamiche reali alla radice del boom dei suicidi, per via di un inveterato, spontaneo, asservimento al potere
economico e politico, i
media mainstream tendono ad occultare artatamente i cadaveri prodotti dalla crisi,
nascondendo il quadro generale di riferimento.
Così in Italia, dove ormai siamo
abituati al disservizio mediatico, come in Grecia.
Mentre i cittadini
scendevano in piazza Syntagma per manifestare ancora una volta il loro dissenso dalle sconsiderate scelte politiche ed economiche che hanno portato il paese sull’orlo
del baratro e i cittadini al suicidio, i media greci tentavano di coprire qualsiasi riferimento che potesse condurre ad una lettura politica del gesto di Christoulas, manipolando la notizia e il testo del messaggio, motivando l'atto estremo in funzione filo-governativa, inserendolo forzatamente in una surreale cornice di patriottismo e devozione al paese.
Al contrario, le ultime parole di Christoulas, le sue
intime speranze, sono espresse con estrema lucidità e incisiva chiarezza:
Io credo che un giorno i giovani senza futuro prenderanno le armi e appenderanno i traditori del Paese in Piazza Syntagma, come fecero gli italiani con Mussolini nel 1945.
Lottare per liberare il paese da
un governo burattino della finanza mondiale.
Ma è possibile pensare a forme
alternative di protesta che abbiano la stessa efficacia della resistenza
armata?
Se lo chiede Franco “Bifo” Berardi in
un articolo dal titolo quasi lapalissiano, L’Italia non è la
Grecia, pubblicato circa due mesi fa (il 12 febbraio 2012) nel sito del Collettivo Uninomade e nel suo Blog sul sito della rivista «MicroMega»:
La proposta di un Do Nothing Day, una forma di protesta attraverso inazione, è stato esposto e motivato dalla Kypriotaki durante il suo intervento [qui l'audio] alla conferenza Knowledge against financial capitalism (KAFCA), tenutasi a Barcellona dal 1 al 3 dicembre 2011 nei locali del MACBA (Museu d’Art Contemporani de Barcelona). In una nota pubblicata sul suo profilo di Facebook, riproposta anche sul sito della rivista «Loop», Berardi precisa:La Grecia è in fiamme. Perché in Italia non sperimentiamo una nuova forma di azione, che magari consista nell’inazione, nel rifiuto di partecipare di collaborare di contribuire? Perché non proviamo a organizzare il Do Nothing Day che una ragazza greca, Alexandra-Odette Kypriotaki ha proposto dopo aver constatato che il popolo greco con l’azione e la mobilitazione non è riuscito a difendere nulla?
Il suo intervento [di Kypriotaki] mi è sembrato provocatorio e suggestivo: «né lottare né scontrarsi ma disertare. Non rivendicare non chiedere, ma dispiegare qui e ora nel mondo ciò che vogliamo vivere. Non agire non mobilitarsi, ma lasciarsi andare all’abbandono di ogni aspettativa. Trasformare in forza la nostra debolezza. Il capitalismo ci chiede una disponibilità continua al desiderio, al contatto, alla produzione. Un tempo permanentemente occupato, sotto pressione alla ricerca di risultati che si fanno sempre più difficili da ottenere. L’obbligo di essere contenti ottimisti e positivi. Dobbiamo proiettare l’immagine di quello che sappiamo, che tutto va bene, che teniamo tutto sotto controllo, che siamo forti. Ma, l’attivismo politico non rischia di chiederci spesso la stessa cosa? Lotte, risultati, la risposta pronta, fuori i timidi, i dubbiosi e i malinconici... Perché non formare un esercito di deboli, di goffi, di ignoranti? Il messaggio sarebbe: siamo depressi, e allora? Il programma: non so. Lo sciopero è il non fare nulla di nulla, Do Nothing Day, un mercoledì, poi anche il giovedì e così via. Come canta Nacho Vegas, il 15M spagnolo ha cambiato il significato di alcune parole, come "sfruttare". Un amico mi ha spiegato qualche tempo fa che la cosa forte delle piazze occupate era la scoperta collettiva del fatto che il lusso vero non ha a che fare con il consumo ma con un altro modo di vivere il tempo, con l’esperienza di fare molto con molto poco, l’incontro con altri coi quali non ti saresti mai incontrato, le nuove amicizie. La ricchezza autentica è quella che ci diamo l’un l’altro quella che circola e non si possiede».
Questo sunto di Franco Berardi, l’audio
della conferenza di Barcellona e un testo intitolato Una nuova zona temporale dell’essere (I greci e la neo-psichedelia),
reperibile in inglese e spagnolo (e non è chiaro se ambedue le
versioni siano traduzioni di un originale in greco), sono le uniche tracce dell’idea
della Kypriotaki presenti in rete (o almeno, le uniche che sono riuscito a
scovare).
In particolare, Una nuova zona temporale dell’essere è un testo notevole non solo perché
è l’elaborazione di un originale punto di vista sul tema delle forme di protesta
e di lotta al sistema, da parte di una persona che ha vissuto direttamente la
crisi greca, le azioni, le reazioni, e che quindi ha potuto riscontrare con i
propri occhi l’efficacia, o inefficacia, dei metodi adottati; ma, soprattutto,
perché centra l’attenzione sulla dimensione temporale della lotta, sul fatto
che un vero cambiamento può avvenire soltanto cercando di agire per cambiare i "tempi", cambiando innanzitutto le modalità di gestione e di fruizione del tempo.
Negli ultimi anni, le lotte e le proteste di piazza si sono basate sul
tentativo di conquista e occupazione dello spazio, di assalto a luoghi simbolo del potere, dunque hanno avuto una qualità topologica, si sono
mosse in una dimensione spaziale. Si può trovare una spiegazione della loro inefficacia considerando che il tardo capitalismo – come ha messo in evidenza Wu Ming 1 [L'occhio del purgatorio: i tempi della rivolta e dell’utopia] richiamando l'elaborazione teorica di Fredric Jameson – per quanto perfettamente traducibile
in termini spaziali, per via dell’inestricabile connessione tra dimensione
spaziale e temporale, in realtà è definito prevalentemente dalla temporalità, da cui deriva il suo essere immateriale, caratteristica che differenzia il tardo capitalismo dalle forme precedenti. Dunque,
il tardo capitalismo essendo strutturato temporalmente impone una tirannia dei tempi. Wu Ming 1 sostiene che la retorica degli spazi fa dimenticare che l’elemento
cardine, il vero problema, è il controllo sul tempo: non si può
vivere una spazialità diversa senza stabilire una diversa temporalità. Per spezzare
la tirannia dei tempi del capitalismo è necessario controllarne i tempi, senza
sottostare a quelli imposti dal potere. Ad esempio, le manifestazioni di
protesta organizzate in corrispondenza di una scadenza istituzionale, quindi stabilita dal potere (come un voto di fiducia per il governo, ecc.), spesso
finiscono per essere delle vere e proprie trappole, come è accaduto per il G8 e il 14 dicembre 2010: in quelle occasioni i tempi della protesta sono stati resi
«subalterni a quelli della politica ufficiale». Una manifestazione che si
configura quasi come un assedio al palazzo del potere traduce il tempo del movimento
e della protesta in termini spaziali, ma «non si può assediare
oggi questo potere,» spiega Wu Ming 1 «perché questo capitalismo è
delocalizzato, è immateriale, quei palazzi sono quasi dei gusci vuoti». Il
movimento deve essere ubiquo, deve colpire ovunque; è necessario fermare il tempo del potere e imporre al sistema una temporalità impostata sui ritmi e le scadenze del movimento e della
protesta.
Il movimento #Occupy ha messo in atto
forme di occupazione molteplice degli spazi e di ridefinizione delle temporalità, così come il Movimiento 15-M
spagnolo e gli “Indignados” greci, esperienza cui si ispira la Kypriotaki per l’elaborazione
della sua idea relativa all’inazione come forma di protesta. Secondo l’attivista
greca si tratterebbe di trasformare un elemento di debolezza, come la depressione (già da tempo endemica in Grecia
a causa della crisi economica), che inevitabilmente conduce all’inazione, alla
rassegnazione, nei casi estremi al suicidio, in un punto di forza per
il singolo e per la collettività; scoprire una nuova zona temporale dell’essere, che permetta ad ognuno di
recuperare il proprio tempo (sottraendolo, quindi, al dominio del sistema capitalistico)
e che permetta di sintonizzarsi nuovamente sulla propria soggettività,
immergersi nel proprio essere organico, e ritrovare un senso di comunità, ri-costruire la collettività sulla base
della condivisione delle proprie debolezze.
Ogni sintesi può essere in qualche
modo riduttiva di un testo abbastanza denso di spunti come quello di
Alexandra-Odette Kypriotaki, per cui ho tentato di tradurlo in italiano (facendo
un confronto fra la versione inglese e quella spagnola) [si può leggere qui], per renderlo più accessibile anche a chi non ha dimestichezza con la lettura in altre lingue, e poter avere in questo modo un’idea più precisa in merito a questa proposta, a mio avviso intelligente, che certo non va presa come la risposta definitiva agli interrogativi riguardo la metodologia
da adottare nelle lotte e nelle manifestazioni di protesta (dal momento che la forma
della rivolta va necessariamente commisurata alle necessità specifiche e alla circostanza particolare),
ma è sicuramente uno spunto affascinante per cominciare a ripensare le modalità di costruzione del dissenso entro coordinate temporali e non solo spaziali.
E per sottolineare, in chiusura, quanto sia importante per il potere mantenere il controllo sul tempo e sulle temporalità, vorrei attirare l'attenzione su questa recente notizia apparentemente banale: mentre saluta e stringe le mani dei suoi sostenitori, Nicolas Sarkozy si rende conto che sta per perdere l’orologio da polso e prontamente lo infila nella tasca della giacca. Quello
del presidente francese potrebbe essere soltanto un gesto istintivo per in mettere
in sicurezza un oggetto che certamente ha un notevole valore affettivo ed economico. Eppure in quel rapido riporre l'orologio in tasca si può anche intravedere la preoccupazione e il timore, quindi la pronta reazione, di un uomo di potere al pensiero di perdere l'oggetto simbolo del suo controllo sul tempo, oltretutto con il rischio che questo possa essere smarrito tra la folla: il tempo del potere non può mica finire in mano al popolo!
Ma forse non è necessario entrare in possesso dell'orologio del presidente per liberarsi dai vincoli temporali imposti dal potere. Inventare una nuova temporalità, una nuova zona temporale del proprio essere, alternativa ai ritmi del potere, del sistema capitalistico, può essere già un primo passo verso la liberazione.
Ma forse non è necessario entrare in possesso dell'orologio del presidente per liberarsi dai vincoli temporali imposti dal potere. Inventare una nuova temporalità, una nuova zona temporale del proprio essere, alternativa ai ritmi del potere, del sistema capitalistico, può essere già un primo passo verso la liberazione.