ATTACCO DEL GOVERNO AL PARCO DELLA COSTA TEATINA

Lo scorso 11 settembre il Senato ha approvato la dichiarazione d’urgenza per l’approvazione di un disegno di legge che mira a riformare la Legge Nazionale sulle Aree Protette. L'incompatibilità degli impianti con il territorio non determinerà il divieto all'installazione, ma un pagamento che autorizza ad inquinare.

GOLDEN LADY, ESPOSTO DI RIFONDAZIONE COMUNISTA

Sulla vertenza Golden Lady rimangono poi aperte una serie di questioni poco chiare. Per questo come Rifondazione Comunista ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Vasto, affinché possano essere accertate eventuali responsabilità penali nei fatti riguardanti la vertenza Golden Lady.

DISCARICA DI BUSSI: LE ISTITUZIONI SAPEVANO

Abruzzo. 1972, l’assessore del Comune di Pescara bacchetta la Montedison per l’inquinamento. Lo sconvolgente documento pubblico che prova che l’inquinamento di Bussi era noto da sempre.

Le info sulla TARES che ti occorrono

LA FIOM HA VINTO CONTRO SEVEL: IL FASCISMO AZIENDALE È ILLEGITTIMO!


Il comportamento della Sevel nei confronti della Fiom è fuori legge. La condotta della Sevel è antisindacale. È illegittimo escludere dalle fabbriche un sindacato che non è d’accordo con il padrone. Non si può negare la democrazia in fabbrica; non si può imporre ai lavoratori di farsi rappresentare dai soli sindacati che accettano ogni capriccio padronale. Il fascismo aziendale pensato da Sevel e servilmente accettato da Cisl, Uil, Fismic e Ugl è illegale.
Questa è l’unica lettura politica e sindacale che può essere data della sentenza che il tribunale di Lanciano ha emesso questa mattina, accogliendo il ricorso contro la Sevel che la Fiom aveva presentato nel marzo scorso, nel quale si denunciava l’esclusione delle Rsa Fiom dallo stabilimento.
Chi pensava di potersi arrogare il potere di cancellare la democrazia e la libera rappresentanza sindacale in Sevel, questa mattina ha avuto una sonora sconfitta. È chiaro che questa sentenza, che come Rifondazione Comunista accogliamo con enorme soddisfazione, non riguarda solo la Sevel. Con essa ne escono sconfitte le attività filo-padronali dei sindacati firmatari, lo scorso 13 dicembre, del contratto Fiat di primo livello. Quel giorno, Cisl, Uil, Fismic e Ugl stabilirono che i lavoratori dovevano lavorare di più, dovevano avere meno diritti e che chiunque si fosse opposto a questo arretramento delle condizioni di lavoro doveva rimanere fuori dalle fabbriche.
Oggi Sevel e sindacati firmatari, che fino a ieri coltivavano sogni di importazione di condizioni di lavoro cinesi, sono stati riportati in Italia, dove si può ancora godere di diritti sindacali e forme di tutela nei luoghi di lavoro. Non poteva esserci notizia migliore alla vigilia del 1° maggio, giornata di festa dei lavoratori e che ne celebra le lotte.
Accettare peggiori condizioni di lavoro non aiuta ad uscire dalla crisi, come gli stessi licenziamenti in Sevel stanno a dimostrare.
Siamo convinti che la sentenza di oggi, che si unisce a quelle che in altre parti d’Italia ha già dato ragione alla Fiom contro la Fiat, possa dare nuovo slancio alle lotte dei lavoratori per il rispetto dei loro diritti. A partire dall’annullamento delle elezioni delle Rsa dei giorni scorsi e dal rientro della Fiom in Sevel, occorre costruire percorsi di lotta sindacale e politica contro il contratto Fiat e la scellerata riforma del lavoro del governo Monti, in difesa dell’articolo 18 e per una politica di giustizia sociale, di difesa dei diritti sociali e del lavoro.


Il Segretario regionale PRC Abruzzo
Marco Fars

Il Segretario provinciale PRC Chieti
Riccardo Di Gregorio

DIAZ, DON'T CLEAN UP THIS BLOOD


Ricordo che avevo solo undici anni quando in quella calda estate guardavo al telegiornale il G8 di Genova . Vedevo sfilare i cortei colorati del primo giorno, la tragica morte di Carlo Giuliani e la “macelleria messicana” , come in seguito fu chiamata, della scuola Diaz . Ricordo che in quei giorni l’attenzione era concentrata sulla morte di questo “pericoloso” black bloc, della violenza di questi ribelli da sedare a tutti i costi.. “Botte manganelli e sangue” era la “formula magica” di quei giorni. I giovani massacrati alla Diaz furono liquidati come black block asserragliati in una scuola considerati pericolosi solo perché in possesso di due molotov! Purtroppo solo dopo undici anni da questo tragico G8 qualcuno si è degnato di fare luce sugli avvenimenti di quella triste notte della storia italiana e mostrarli ai propri connazionali. 
È in questi giorni nelle sale cinematografiche il film di Daniele Vicari: Diaz, dont’clean up this blood . Un film che ti stritola lo stomaco, fa venire la pelle d’oca per l’abominio compiuto da quei poliziotti che sembravano dei vampiri assetati di sangue e che non hanno risparmiato nessuno dai propri manganelli, neanche le persone più anziane.                                                                                  
Film di straordinario realismo cerca di far capire che in quella scuola non c’erano pericolosi black bloc pronti ad asserragliare Genova ma come invece ci fossero dei ragazzi giunti da tutto il mondo per dire no alle politiche neoliberiste in maniera pacifica e non violenta. Tra questi c’erano anche giornalisti che hanno contribuito a portare la loro testimonianza di quanto avvenne quella notte in cui furono violati tutti i diritti di una società che vuole dirsi civile.
Questo film ha anche il grande merito di far vedere le barbarie, che i manifestanti “sopravvissuti” alla Diaz e trasportati alla caserma di Bolzaneto hanno dovuto subire. Di fronte a quelle immagini ho pensato subito ad Abu Grhaib, alle torture perpetrate ai prigionieri iraniani dai soldati americani nel 2004..  La Diaz mi ha dato l’impressione che potesse essere usata come una prova generale delle future torture in quel carcere tanto lontano da noi. Vicari però pecca nella scelta di non volere dare i veri nomi ai responsabili di questa vicenda.
Credo che, insieme con il lucido realismo narrativo, il definire i “macellai” dovesse essere uno degli obiettivi fondamentali del film , perché troppe volte ho sentito dire che era giusto punire i pericolosi black block presenti in quella scuola, troppe volte i canali informativi principali hanno fatto passare questa tesi ed ovviamente la maggior parte delle persone prende per Vangelo ciò che quest’ultimi fanno passare per vero, specie quando le notizie riguardano dei “pericolosi sinistroidi”.
Nonostante questa pecca, questo rimane sempre il primo film il cui regista ha avuto il coraggio di denunciare attraverso la pellicola cinematografica gli orrori di quella notte alla scuola Diaz e quei giorni alla caserma Bolzaneto. Il sottotitolo del  film è Don’t clean up this blood, frase che una manifestante, in una delle scene finali del film, scrive nella scuola Diaz dopo la notte del massacro. Frase intensa e carica di significato  vuole essere un ulteriore monito a punire i responsabili di questa macelleria messicana che tutt’ora girano a piede libero, anzi alcuni di questi sono stati anche promossi di grado, solo alcuni sono stati puniti ma con pene irrisorie. Quel sangue non va lavato, dobbiamo essere noi a portarne il ricordo e a far propria questa esperienza anche se eravamo “troppo piccoli” o “troppo impegnati” per essere presenti, non permettendo che né in Italia né nel resto del mondo avvengano nuovamente simili avvenimenti e che vengano finalmente puniti i responsabili di questa tragedia umana consumatasi nei giorni di quel lontano luglio. 





Pierangela Suriani








Diaz, don't clean up this blood- il trailer, di Daniele Vicari, Italia-Francia-Romania, 2012 


LA FABBRICA NON E' UN FEUDO. PRC SOLIDALE CON LAVORATORE LICENZIATO DA PILKINGTON

A quanto sembra la Pilkington vuole anticipare i tempi della riforma del lavoro, licenziando un lavoratore che fortunatamente può invece ancora godere del diritto stabilito dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ad essere reintegrato in caso di licenziamento illegittimo.
E tale ci appare quello subito da Alfonso Pacilli, essendogli stato comminato dalla Pilkington durante un periodo di infortunio sul lavoro. In questi casi la legge italiana parla chiaro: è di fatto vietato il licenziamento di lavoratori nel periodo di infortunio sul lavoro o malattia. A meno che non vi sia una giusta causa, e cioè avrebbe dovuto aver luogo un inadempimento o un comportamento del lavoratore tanto gravi che qualsiasi altra sanzione sarebbe stata insufficiente a tutelare l’azienda. Ma può essere una giusta causa l’aver deciso, come ha fatto Pacilli, di avvalersi del suo sacrosanto diritto di cittadino a rivolgersi ad un giudice per le ingiurie che ritiene di aver ricevuto da una persona che ricopre importanti funzioni aziendali? Evidentemente no.
Una situazione del genere, se venisse confermata nel caso del licenziamento di Alfonso Pacilli da parte della Pilkington, sarebbe inaccettabile e dovrebbe essere fortemente stigmatizzata da tutte le organizzazioni sindacali in primo luogo, ma anche dalle forze politiche e da qualunque cittadino. Non può infatti passare nemmeno l’idea che un lavoratore, varcati i cancelli della fabbrica, debba smettere di essere un cittadino con pieni diritti, per assumere un atteggiamento da servo nel feudo del padrone. 
Rifondazione Comunista esprime piena solidarietà ad Alfonso Pacilli e lo sosterrà nella sua battaglia per la tutela dei suoi diritti di lavoratore e cittadino ed aderisce al presidio di protesta indetto dalla confederazione Cobas per venerdì 4 maggio alle 10.30, davanti alla sede di Confindustria Vasto.

Partito della Rifondazione Comunista
Circolo di Vasto "Sante Petrocelli"

CISL, UIL, FISMIC E UGL CHIEDANO SCUSA AI LAVORATORI


A 350 lavoratrici e lavoratori Sevel non rinnoverà il contratto. Guarda il caso, la notizia arriva all’indomani delle elezioni truffa per il rinnovo delle Rsa, alle quali non hanno potuto partecipare Fiom e sindacati di base, per colpa del vergognoso contratto Fiat firmato da Cisl, Uil, Fismic e Ugl.
Quel contratto, che Fiom e sindacati di base non hanno firmato, conteneva accordi che secondo i firmatari avrebbero dovuto tutelare la competitività aziendale. In sostanza, e secondo i sindacati gialli Cisl, Uil, Fismic e Ugl, la limitazione del diritto di sciopero, l’aumento dei ritmi di lavoro, la malattia non pagata per i primi tre giorni, l’estromissione della Fiom dalla fabbrica e la conseguente restrizione del diritto di rappresentanza dei lavoratori, avrebbero dovuto accrescere la competitività della Sevel ed allargare l’indotto.

L’annuncio di Sevel di lasciare a casa 350 lavoratrici e lavoratori per mancato rinnovo del contratto, svela l’inganno nel peggiore dei modi, perché a pagare le conseguenze della complicità sindacale con il padrone saranno persone in carne ed ossa con una famiglia da mantenere ed un affitto da pagare. Una scelta, quella di Sevel, che tra l’altro di ripercuoterà in maniera pesante sull’indotto, che conta due lavoratori ogni dipendente Sevel.

Il modello Marchionne si è rivelato un bluff clamoroso con consistente perdita di quote di mercato. Quando le istituzioni chiederanno conto dei fantomatici investimenti promessi da Marchionne con "fabbrica Italia"? Da mesi sosteniamo che la "pomiglianizzazione" del gruppo Fiat è un vicolo cieco a danno dei lavoratori e che non migliora la competitività dell'azienda.

Anziché continuare a chiedere alla Fiom di abbassare i toni, come fa qualche sindacato firmatario a mezzo stampa, chi lo scorso dicembre ha firmato il contratto Fiat dovrebbe finalmente tentare di recuperare un po’ di dignità sindacale, chiedere scusa ai lavoratori per quello che stanno subendo in termini di peggioramento delle condizioni di lavoro e sostenere la Fiom ed i sindacati di base nella lotta a tutela dei diritti dei lavoratori.


Marco Fars - Segretario regionale PRC Abruzzo
Riccardo Di Gregorio - Segretario provinciale PRC Chieti

SEVEL: PRIMA SPREMUTI, POI LICENZIATI. 350 LAVORATORI A CASA


A 350 lavoratrici e lavoratori Sevel non rinnoverà il contratto. Guarda il caso, la notizia arriva all’indomani delle elezioni per il rinnovo delle Rsa, alle quali non hanno potuto partecipare Fiom e sindacati di base, estromessi dalle elezioni per mano di Fiat e sindacati gialli Cisl, Uil, Fismic e Ugl. In Sevel, come in ogni altro stabilimento controllato da Fiat, potevano candidarsi a rappresentare lavoratrici e lavoratori solo i sindacati firmatari, lo scorso 13 dicembre, del vergognoso contratto Fiat di primo livello.

Quel contratto, che Fiom e sindacati di base non hanno firmato, veniva dopo la sigla di precedenti accordi in Sevel che, dietro la foglia di fico dell’assunzione a termine di lavoratori o del rinnovo a tempo determinato di contratti in essere, andavano via via peggiorando la vita degli operai. Così, da aprile a settembre sono stati accettati: una nuova metrica che ha aumentato i ritmi di lavoro; clausole di responsabilità che, in caso di comportamenti, anche fossero di singoli lavoratori, idonei ad inficiare finanche lo spirito dell’accordo, l’azienda si sarebbe liberata degli obblighi dell’accordo; straordinari per diversi sabati e domeniche; premi di risultato fortemente discriminatori nei confronti dei soggetti più deboli (come donne incinte o lavoratori con disabili a carico). Accordi che hanno preparato il terreno al contratto Fiat oggi in vigore.

I sindacati “complici”, come amava definirli l’ex ministro Sacconi, parlavano di buon contratto nonostante contenesse la limitazione del diritto di sciopero, l’aumento dei ritmi di lavoro, la malattia non pagata per i primi tre giorni ed altre limitazioni in termini di diritti per chi lavora. C’era chi, come il segretario provinciale di Chieti della Cisl (oggi primo sindacato in Sevel), Domenico Bologna ostentava soddisfazione perché dopo la firma del contratto Fiat ci sarebbero state «tutte le condizioni di competitività per continuare a crescere», oggi smentite dai licenziamenti in Sevel. Addirittura, secondo le dichiarazioni dello stesso Bologna, si stava «discutendo anche di come allargare l'indotto», che invece ora dovrà contrarsi, contando due lavoratori ogni dipendente Sevel. In quell’occasione le accuse nei confronti della Fiom in particolare si sprecarono. Anche relativamente alla Sevel c’era chi, come i dirigenti Uil, lasciava intendere che a difendere i lavoratori ci avrebbero pensato loro, accusando sostanzialmente la Fiom e sindacati di base di fare i propri interessi, non firmando quel contratto.
 
Oggi, l’annuncio del mancato rinnovo del contratto per 350 dipendenti Sevel, rende palese l’inganno secondo il quale la competitività aziendale si migliora con lavoratrici e lavoratori che lavorano sempre di più e sempre più faticosamente, riducendo i loro diritti ed estromettendo dalle fabbriche i sindacati più combattivi. Un inganno del quale Cisl, Uil, Fismic e Ugl si sono resi complici. Eppure, nonostante l’ormai evidente raggiro subito dai lavoratori con il contratto Fiat, c’è chi, come il segretario provinciale Fismic, Roberto Salvatore fa strumentalmente «appello anche alla Fiom ad abbassare i toni affinché lo scontro non si esasperi». Di fatto appare un nuovo appello ai lavoratori ad abbassare i pantaloni.

UN FILM PER UN 25 APRILE RESISTENTE!



L'UOMO CHE VERRA' 

(Italia/2009) di Giorgio Diritti (117')
L'eccidio nazifascista di Marzabotto visto attraverso gli occhi di una bambina di sette anni. "Un film sulla guerra vista dal basso, dalla parte di chi la subisce e si trova suo malgrado coinvolto nei grandi eventi della storia che sembrano dimenticare le vite degli uomini. [... ] L'evolversi dei racconti è l'evolversi di quei tempi, dove la grande 'Storia', quella che troviamo nei libri e negli studi accademici, entra nelle case, sui sagrati, nelle chiese, ed uccide". (Giorgio Diritti). Coprodotto dalla Cineteca di Bologna, ha trionfato ai David di Donatello 2010.

Rifondazione: Sevel ha atteggiamento intimidatorio e fuori legge




Tutti sono uguali di fronte alla legge, ma Sevel pretende di essere più uguale degli altri. Per questo, nonostante lo scorso 30 gennaio due lavoratori abbiano vinto la causa contro la Sevel ed il giudice abbia ordinato all’azienda di assumere i due lavoratori a tempo indeterminato, Sevel non permette loro di rientrare in fabbrica. Quei lavoratori, che per ora stanno subendo un’ingiustizia per il solo fatto di aver chiesto la garanzia di un proprio diritto, non ricevono nemmeno lo stipendio. Si sono visti riconoscere solo un risarcimento, pure ordinato dal giudice, di sole sei mensilità.
Considerando che stiamo parlando dei primi due dei 150 ricorrenti contro la Sevel per le stesse ragioni, l’atteggiamento dell’azienda lascia intendere una volontà intimidatoria, per cui il comportamento nei confronti di pochi elementi serve ad avvertire tutti gli altri di ciò che potrebbe spettare loro: perdita del lavoro e niente stipendio.

È da notare che nella causa vinta dai due lavoratori era stato contestato alla Sevel l’assenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificassero l’apposizione di un termine al contratto di lavoro. La legge in vigore, in questi casi, è chiara: in assenza di quelle ragioni l'apposizione del termine è priva di effetto. Guarda caso la proposta Fornero di riforma del mercato del lavoro prevede, tra le altre cose, proprio l’abrogazione della norma che obbliga l’azienda a dichiarare le ragioni dell’utilizzo di un contratto a termine. Il governo Monti quindi, sta cercando di dare legittimità al comportamento fuori legge che Fiat sta assumendo nello stabilimento Sevel.

Riteniamo di una gravità inaudita il comportamento di Sevel che deve essere stigmatizzato anche dalle istituzioni, attraverso una dura condanna pubblica dell’atteggiamento intimidatorio e fuori legge dell’azienda. In tal senso è stata presentata una al presidente Gianni Chiodi dal compagno Antonio Saia. Crediamo inoltre indispensabile che la Regione Abruzzo e la Provincia di Chieti chiedano un incontro con la direzione della Sevel, al fine di accertare la volontà dell’azienda di stare su un territorio nel rispetto delle leggi. Per parte nostra continueremo a sostenere le lotte dei lavoratori per la tutela dei loro diritti, così vergognosamente calpestati da chi, come Fiat, delocalizza le produzioni e vorrebbe importare condizioni di lavoro cinesi.




Marco Fars - segretario regionale Abruzzo di Rifondazione Comunista 
Riccardo Di Gregorio - segretario provinciale Chieti di Rifondazione Comunista

La città cantiere:come ti disintegro il "Waste è belle e terra d'eure"


Sin dalla prima meta' degli anni 2000 la morfologia di Vasto ha subito un netto cambiamento attraverso una forte urbanizzazione dovuta essenzialmente alla edificazione di immobili e villaggi residenziali. Tutto questo e' stato possibile a causa di una liberalizzazione di alcuni comparti delle destinazioni d'uso del Piano Regolatore Generale, lo strumento municipale di normatizzazione urbanistica locale. Infatti durante il mandato del sindaco Filippo Pietrocola (Casa Delle Libertà all'epoca) fu approvata, nel Marzo del 2001, la possibilità di utilizzare alcune grosse aree (in particolare C1 e C2, ovvero Zona Sant' Onofrio e Via Del Porto) al fine di costruire. Cio' a cui si e' assistito subito dopo e' stata una prepotente e gravosa presa dei vari settori circoscrizionali. L'imprenditoria del mattone si e' fregata le mani e ha cominciato la sua opera “creativa”. Una forte presenza e' rilevabile da due matrici: la prima locale, fatta di imprese artigiane o costruttori conosciuti, la seconda proveniente dall'area provinciale foggiana con particolare interessa alla Capitanata. Non escluse anche ditte molisane. Esse hanno approfittato di una situazione molto favorevole: la deregulation in atto ha permesso di fruire di qualsiasi terreno per erigere ogni tipo di idea architettonica, finendo per ridisegnare in peggio la struttura mentale dell'organizzazione urbana. L'idea che e' passata e' quella per la quale ogni appezzamento potesse essere preso d'assalto senza pensare minimamente a cosa avrebbe comportato. Non importa se a 'spalla a spalla” con altri palazzi o al posto di alberi da frutto, la parola d'ordine e' scavare fondamenta e innalzare costruzioni. Ogni singolo spazietto angusto che ricadeva nelle tanto bramate aree edificabili e' stato il sogno speculativo anche di proprietari terrieri che hanno visto la possibilità di barattare un campo agricolo o un caseggiato per renderlo ancora più proficuo dal punto di vista volumetrico. Segno questo che anche una parte di stessi vastesi ha contribuito a rendere un cantiere perenne la propria città, traccia culturale che ricalca il pensiero unico dello sviluppo in termini di soldi facili da realizzare svendendo al primo palazzinaro che passa un patrimonio tramandato di generazioni. Le zone più massacrate e sottoposte a spietato martellamento sono, partendo da Sud verso Nord: via Luigi Cardone lato Est(con particolare pericolo di slittamento verso valle), Via Palombari-Viale Perth, Zona Terminal Bus, Circonvallazione Histoniense lato Ovest, via Bachelet- via Giulio Cesare, viale Pertini- via Alessandrini, Via Casetta, Circonvallazione Histoniense inizio lato Nord, dietro piazza Giovine, via San Sisto, via Incoronata (quasi tutta, ormai talmente allargata da sconfinare proprio su via San Sisto), Via San Rocco e la parte poco più fuori del tessuto di via Del Porto. E senza ovviamente dimenticare i complessi nati a Vasto Marina, partendo da Fonte Ioanna e via Istonia, attraversando via Martiri Istriani, la parte sovrastante via Spalato,via Austro, via San Tommaso (zona Park Hotel e di fronte Hotel Palace),via Selvotta, zona stazione F.S e giungendo sino ala Strada Statale 16 Sud di fronte Hotel Perrozzi. Dimentichiamo qualcosa? Si, tutta la parte verso il mare della collina di Montevecchio, poco resistente a colate mastodontiche. E neanche la costa e' imbattuta. Si pensi alle villette a due metri dall' acqua già denunciate dall'associazione ARCI a San Nicola e a quelle sotto sequestro in località La Canale in posti a rischio erosione. Sara' curioso vedere fra 30 anni abbandonare tali abitazioni signorili da parte dei proprietari perché in pericolo imminente di caduta. A tutto ciò vi sono da aggiungere singole superfici con abitazioni mono familiari in periferia o unici palazzi il cui peso specifico su di un' area insiste relativamente meno dei grandi ammassi, ma che se sommate, probabilmente formerebbero assieme un rione. Ma quali sono state le conseguenze? Per i fautori dello sviluppismo e del cemento la risposta e': il lavoro! E poi introiti di urbanizzazione per il Comune (3 milioni di euro nel solo 2007*). La cantierizzazione perenne ha portato pero' molti effetti non piacevoli. Primo fra tutti i disagi stradali dell' aumento del volume di traffico dovuto alla circolazione dei mezzi pesanti. Si aggiunge il continuo smantellamento del rivestimento stradale per gli allacci alle varie reti idriche e fognarie che, rifatti alla meno peggio o non rifatti per nulla, creano pericoli circa la sicurezza veicolare. Ma questo e' 'il minimo”. Le vere conseguenze si hanno nelle centinaie di locazioni invendute e sfitte che per ora non trovano collocazione di mercato perché in netto surplus rispetto al reale fabbisogno cittadino, e nonostante il censimento del 2011 abbia rilevato che la popolazione sta toccando quasi quota 42mila**. E soprattutto si hanno nel forte depauperamento che le colate di calcestruzzo hanno portato rispetto alla fruibilità dei quartieri, inscatolati in sempre più strette viuzze. Anche i parchi residenziali hanno creato isolati e blocchi avulsi dal significato culturale originario del tessuto urbanistico. A disdetta del loro nome sono di un impatto notevole nel consumo di ampie superfici quasi sempre sottratte all'agricoltura. Diversi ettari di flora sia dentro che fuori le “mura” cittadine sono state letteralmente rase al suolo e le ripiantumazioni sono una sorta di “foglia di fico” ad emarginare l'alterazione dei luoghi. Non solo. In alcuni casi la crescita smisurata e incontrollata ha creato situazioni in cui non ci si era premuniti di fare i necessari collegamenti dei servizi, idrico, fognario e stradale (via Alborato). Le Norme tecniche di attuazione (approvate nel Dicembre del 2010) hanno solo limitato i danni e dato qualche vincolo in più rispetto ad altezze,cubature e dimensioni di un fabbricato. Ma una sentenza del TAR Abruzzo le ha recentemente annullate a Dicembre 2011 a causa della mancanza della Valutazione Ambientale Strategica e da rivedere entro 8 mesi dalla sentenza. Questo perché le restrizioni necessarie erano state talmente elevate che la modifica ha comportato un vero e proprio riassetto della pianificazione. E ciò rende idea di quanto il solo PRG era cosi' sregolato da dover comportare un forte freno tale da far considerare le NTA, agli occhi di un ente giuridico esterno, una sorta di variante al Piano Regolatore stesso. Il disfacimento di Vasto ha già dato questi frutti. E se si dovesse continuare su questa strada il “Waste è belle e terra d’eure” rimarrà solamente una canzone popolare che ricorderà di quando il rapporto cultura/ambiente era un poco migliore. Sta agli amministratori in primis e ai suoi abitanti poi dedicare attenzione e non svendersi alle tentazioni ammaliatrici dell'arricchimento individuale a danno della collettività.


* Relazione su rendiconto di gestione 2007, pag 93.
**http://www.vastoweb.com/mobile/notizie/vasto-popolazione-in-crescitai-residenti-salgono-a-42mila-14152.html


Foto ritraente Fonte Ioanna (tratta da Histonium.net)

I fiumi che inquinano ed altre follie: è Primavera


Quando si tratta di contrapposizione ideologica tra industria e ambiente, Paolo Primavera, presidente di Confindustria Chieti può certamente essere menzionato tra i maggiori esponenti. Di dimostrazioni in tal senso non ha fatte mancare in passato e soprattutto negli ultimi tempi, con le contestazioni territoriali contro le ipotesi di centrali a biomasse, impianto di trattamento rifiuti e cementificio a ridosso della riserva di Punta Aderci, Primavera si lascia andare a dichiarazioni frequenti sul futuro di Punta Penna. Pochi giorni fa, in merito al documento approvato a Vasto da Comune e Provincia di Chieti attraverso il quale si dichiarano sostanzialmente le intenzioni di degli enti di non permettere l’installazione di nuove industrie a Punta Penna, Paolo Primavera ha rilasciato sul quotidiano Il Centro delle dichiarazioni nel migliore dei casi poco lungimiranti. Ma si è spinto fino al grottesco ed all’insensatezza.

È evidente, nei commenti di Primavera, quella contrapposizione ideologica di cui si diceva sopra. Un concentrato ideologico che lo porta ad osservare la situazione locale ed il possibile sviluppo dell’area di Punta Penna (e non solo), esclusivamente dal lato industriale. In sostanza il concetto è che le aziende devono essere lasciate fare, che sono loro che fanno il reddito. Ora, a parte il fatto che il reddito lo fanno i lavoratori, è palese come Primavera non abbia la benché minima intenzione di valutare altre prospettive. E se non fosse chiaro, il presidente degli industriali di Chieti specifica meglio il concetto parlando di «ambiente e turismo», come un filone da cui non si riuscirebbe «a creare posti di lavoro e ricchezza per i residenti» e pertanto se venisse adotta, «questa politica impoverirà il Vastese perché paralizza gli investimenti e l’occupazione facendo aumentare precarietà, disagio e malavita».

A Paolo Primavera deve essere sfuggito il rapporto sviluppato dall’Osservatorio Ecotur costituito da Istat, Enit e Università dell’Aquila. In quel documento, recentemente presentato alla Borsa internazionale del turismo natura, si evidenzia che il turismo ambientale è un settore in crescita nonostante la grave crisi economica. Si parla di qualcosa come 11 miliardi di fatturato nel 2011 grazie ad un movimento turistico che ha registrato quasi 100milioni di presenze. E L’Abruzzo, in questo ambito, vanta il primato nella graduatoria dei parchi più richiesti. In questo settore potrebbe inserirsi anche il costituendo Parco nazionale della Costa Teatina, che vede vi Vasto compresa con la più ampia estensione di territorio tra le località che ne fanno parte.

Eppure questa opportunità, che ovunque si è dimostrata capace di dare risposte positive in termini di qualità di vita e ricchezza per i residenti, per Paolo Primavera potrebbe risolversi in un’apocalisse per il territorio vastese. Un punto di vista che non potrebbe avere sbocchi diversi, se i presupposti sono quelli di vedere la «tutela ambientale» come uno strumento con il quale «si mortificano le industrie», anziché come approccio per uno sviluppo che non abbia il profitto al centro di ogni considerazione.
A questo punto si dovrebbe considerare la possibilità di una politica che sappia trovare strumenti per contabilizzare non solo la ricchezza prodotta, ma i costi a carico della collettività, causati dai danni ambientali dovuti alle attività industriali. Ma in questo caso Paolo Primavera quei costi saprebbe bene a chi farli pagare. Alle industrie ad alto impatto ambientale? Neanche per sogno, visto che «le industrie sono tenute per legge a salvaguardare l’ambiente e lo fanno». E allora, chi è che dovrebbe pagare? Probabilmente i fiumi, che secondo il presidente di Confindustria di Chieti sono «la prima fonte di inquinamento del territorio». E nonostante questa considerazione, la follia, secondo Paolo Primavera, sarebbe l'ipotesi di delocalizzazione... Sic!

Resistenza: un'oasi tra "silenzio e deserto". Omaggio ai lettori de L'AltraCittà: il libro "Senza tregua" del comandante Visone

«Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.»

Così si rivolse Piero Calamandrei, in un discorso sulla Costituzione nata dalla Resistenza, tenuto a Milano il 26 gennaio 1955 davanti ad una platea di giovani. La Costituzione di cui parlava Calamandrei da pochi giorni è stata umiliata con l'inserimento del pareggio di bilancio. Lo scorso 11 aprile due terzi del Parlamento italiano ha votato a favore di una norma che ha stravolto la Costituzione repubblicana ed ha dichiarato, in sostanza, che il pareggio del bilancio statale viene prima delle garanzie costituzionali in materia sociale. Due terzi del Parlamento italiano, composto da rappresentati del PD, del PDL e dell'UDC, ha umiliato la Costituzione e quei partigiani che caddero per liberare l'Italia dal nazifascismo consentendo, anni dopo, la nascita della Costituzione.

Oggi, ad osservare come la lotta partigiana viene sempre più dimenticata e, si potrebbe dire nei fatti denigrata; nel considerare come la commemorazione della Liberazione sia diventata negli anni per lo più un vuoto e stanco rito; a notare con sempre maggiore disinvoltura si tollerino gruppi ed iniziative neofasciste; ci si accorge quanto valide siano ancora oggi le parole di Pier Paolo Pasolini, che innalzando la Resistenza ad esperienza democratico-rivoluzionaria notava come intorno ad essa ci fosse «silenzio e deserto»

E allora per parte nostra, a pochi giorni dal 67° anniversario della Liberazione, vogliamo provare ad indicare una piccola oasi in mezzo a tanto squallido deserto e desolante silenzio: l'invito alla lettura di "Senza tregua" (), il libro di Giovani Pesce, comandante partigiano "Visone".

Nei libri sulla guerra partigiana non mancano certo le rievocazioni delle gesta dei GAP (gruppi di azione patriottica), cioè di quel pugno di uomini che a Milano o a Torino, a Firenze o a Bologna, inchiodarono per mesi e mesi ingenti forze nemiche e prepararono nei centri urbani del Nord la vittoriosa sollevazione dell'aprile '45. Mentre però delle grandi formazioni di montagna si è ricostruita organicamente la storia, della lotta dei GAP condotta senza tregua dentro e contro il gigantesco apparato di morte nazifascista non si ha, non si può avere che una fredda cronologia di azioni armate, ciascuna in sé isolata, una successione di fulminei colpi di mano, un nudo elenco di combattenti solitari. E di caduti. L'aspetto terrificante del-la guerriglia urbana non stava solo nell'incombente ferocia dei croceuncinati, e dei loro sgherri in camicia nera, ma anche nell'insidia logorante delle spie, dei delatori, dei provocatori; e quindi nel vuoto impietoso che l'uomo dei GAP era costretto a farsi attorno per difendere se stesso e l'organizzazione.
Giovanni Pesce, figura leggendaria della guerra partigiana, ci dà in questo libro oltre all'incredibile resoconto delle sue azioni di gappista (che gli valsero la medaglia d'oro) anche le dimensioni psicologiche della sua grande avventura. Sono pagine scarne, senza retorica, senza il minimo compiacimento, nelle quali l'inevitabile crudezza degli atti di guerra è temperata dai ricordi e dai sogni di un uomo che pur da sempre impegnato nella lotta per la libertà, in Italia come in Francia e in Spagna, non ha mai acquisito il gelido abito del giustiziere; ogni atto di forza, ogni condanna eseguita, ogni azione violenta ha trovato in lui prima che un esecutore implacabile un giudice sereno e umano dalla coscienza lucida, aperta ai grandi problemi morali che animarono il nostro secondo Risorgimento.

[Dalla seconda edizione Feltrinelli che il sito Biblioteca Multimediale Marxista ha reso gratuitamente disponibile]

Donazione del sangue e omofobia alla ASL Lanciano-Vasto

Ricordate quella pubblicità "regresso" di una ventina di anni fa in cui si affrontavano le problematiche inerenti alla trasmissione del virus dell'HIV, mostrando le persone contagiate circondate da un'alone viola?
Beh.. la ASL Lanciano-Vasto sta facendo qualcosa di simile nei confronti di persone gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, consegnando a chi desideri donare il sangue presso il Servizio aziendale di immunoematologia e medicina trasfusionale dell'Ospedale “Floraspe Renzetti”, un documento informativo, discriminatore e nettamente distante dalle più elementari conoscenze medico scientifiche in tema di trasmissione delle malattie a contagio sessuale.


In questo documento sono riportati i criteri di esclusione alla donazione. Tra i primi punti di un elenco di 11 condizioni che precludono all’aspirante donatore di offrire al prossimo il proprio sangue; si legge al numero 2, la dicitura: “Rapporti omosessuali” e al numero 3: “Rapporti sessuali con persone sconosciute”.
Nel leggere questi punti non vi sono dubbi che l'interpretazione più letteralmente esatta è quella che sottintende che basta che un rapporto sia omossessuale perchè il virus venga trasmesso.
Così come è stato dimostrato che la trasmissione del virus avviene tra persone conosciute allo stesso modo e in egual misura che tra persone sconosciute, soprattutto nel caso dell'HIV che ha un periodo finestra di 6 mesi, e non presenta sintomatologia rimanendo silente anche per anni.
In altri termini, non basta essere eterosessuali ed avere rapporti con partner conosciuti per scongiurare la trasmissione del virus.
Quello che colpisce è che in questo documento informativo non si fa MAI menzione di "rapporti protetti" e consapevoli, anzi pur di evitare di usare una terminologia che probabilmente offende quel senso cattolico di cui è impregnata la nostra società, si ricorre alla divulgazione di concetti ambigui e pseudoscientifici che fanno quasi passare l'idea che il sangue di una persona gay sia infetto o rischioso a prescindere.
In questo modo si alimenta odio, bisognerebbe essere ben consapevoli che la discriminazione e l'omofobia sono una delle forme più alte di violenza nell'attuale società.
E' necessario rafforzare il senso di responsabilità di tutte e tutti e, per prime, le Istituzioni, dovrebbero usare un linguaggio attuale e cauto, conscie del danno che ogni leggerezza ed ogni approssimazione può produrre.
Bisognerebbe avere la massima attenzione a non vanificare l'immane lavoro di chi lotta quotidianamente per la tutela dei diritti fondamentali dell’essere umano: contro l’omofobia, la transfobia ed ogni altra forma di ingiusta ed assurda discriminazione.

I lavoratori confermano: vogliono la Fiom in Sevel


In Sevel Fiom si conferma importante forza sindacale. Per quanto il gruppo Fiat tenti di buttare fuori dai suoi stabilimenti i metalmeccanici della Cgil, di fatto ancora non è riuscito a mettere fuori dai cancelli il dissenso delle lavoratrici e dei lavoratori verso l’accordo dello scorso dicembre.

Le informazioni che ci giungono circa i risultati delle RSA Sevel conclusesi questa mattina, dimostrano chiaramente la volontà dei lavoratori a non abbandonare una lotta per la rappresentanza  e per la democrazia in fabbrica. Le oltre 1300 schede nulle contate (erano solo 123 nelle elezioni 2009, comprese le schede bianche) dimostrano che l’invito di Fiom ai lavoratori di recarsi alle urne ed annullare la scheda è stato largamente accolto. E’ evidente quindi che i lavoratori vogliono poter scegliere da chi essere rappresentati e perciò confermano la loro opposizione alla logica contenuta nel contratto Fiat, che vorrebbe restringere la rappresentanza sindacale alle sole organizzazioni d’accordo con l’azienda e che appongono la loro firma su accordi che aumentano i ritmi di lavoro e diminuiscono i diritti per i lavoratori.
Lo stesso aumento vertiginoso dell’astensione (quasi raddoppiato rispetto al 2009), lascia ben supporre, nelle condizioni attuali, la sfiducia di molti lavoratori in uno strumento, quale dovrebbe essere quello delle elezioni delle RSA, che non ha più nulla di democratico e nulla di realmente rappresentativo negli stabilimenti del gruppo Fiat.
Dopo l’importante risultato di queste elezioni, merito della lotta che Fiom continua a condurre per la difesa di diritti fondamentali dei lavoratori nonostante gli sia negata l’attività sindacale, si attende con ancora maggiore interesse la pronuncia del Tribunale sul ricorso presentato da Fiom contro la condotta antisindacale di Sevel.
Come Rifondazione Comunista, continueremo a sostenere le iniziative di lotta della Fiom, con la quale continueremo a costruire lotte per la tutela dei diritti dei lavoratori sempre più compromessi dal governo Monti, non ha caso molto apprezzato da Marchionne.
 
Marco Fars - Segretario regionale PRC Abruzzo
Riccado Di Gregorio - Segretario provinciale PRC Chieti

Il Partito Democratico contro il pareggio di bilancio. Ma è quello americano


Questa settimana la Camera dei Rappresentanti dovrebbe votare su un emendamento alla Costituzione per introdurre il pareggio di bilancio. Se approvata, la proposta repubblicana richiederebbe profondi tagli alla spesa che potrebbero compromettere tutto, dall’istruzione al Medicare (programma sanitario pubblio, ndr) ai programmi nutrizionali e sulla salute per i bambini a rischio. Ecco uno sguardo sull’impatto devastante che questo emendamento, ardentemente sostenuto da Mitt Romney e dai suoi colleghi candidati repubblicani, potrebbe avere sulla classe media americana.

Ti stai chiedendo come il pareggio di bilancio ti riguardi? Questi sono solo alcuni dei modi in cui i tagli potrebbero realizzarsi negli stati dell’Unione, il tutto mentre Romney e i candidati repubblicani stanno proponendo oltre 200 miliardi di dollari all’anno di tagli fiscali per le imprese e gli americani più ricchi:
il Medicare (programma sanitario per gli anziani, ndr) potrebbe essere ridotto di:
  • 2,4 miliardi in Virginia
  • 4,4 miliardi di dollari Michigan
  • 1.1 miliardi in Iowa
Tagli alla Social security (pensioni, ndr):
  • 12,9 miliardi dollari in Florida
  • 3,7 miliardi dollari nel Arizona
  • 5,9 miliardi dollari in North Carolina
Medicaid (programma sanitario per le famiglie a basso reddito, ndr) e CHIP (programma sanitario specifico per i bambini, ndr) potrebbero essere ridotti di:
  • 3,3 miliardi di dollari Ohio
  • 3,6 miliardi di dollari Pennsylvania
  • 1,9 miliardi dollari in Georgia
Il budget per l’istruzione primaria e secondaria potrebbe essere ridotto di:
  • 26,5 milioni dollari in Colorado
  • 36,9 milioni dollari in Wisconsin
  • 19,7 dollari in New Mexico

[Fonte: Keynes Blog]

Scempio a San Nicola: distrutta e recintata un'area verde

Recintata e distrutta un'area verde, impedito l'accesso al mare. ARCI e WWF: atto assurdo. Si dia attuazione alla Legge 5/2007 e al "Sistema delle Aree Protette della Costa Teatina"
 
 
Le Associazioni ARCI e WWF Zona Frentana e Costa Teatina hanno appreso nelle scorse ore di un atto incredibile avvenuto in località San Nicola a Vasto. Moltissimi cittadini hanno infatti segnalato che un'area nei pressi del parcheggio è stata recintata, rendendo impossibile l'accesso alla spiaggia, e fatta oggetto di una "pulizia" che ha danneggiato profondamente biancospino e altre piante di macchia mediterranea ivi presenti. I rappresentanti delle due associazioni hanno già contattato il Sindaco Luciano Lapenna, l'Assessore all'Ambiente Anna Suriani e l'Assessore ai Lavori Pubblici Marco Marra che si sono attivati verificando l'accaduto con gli uffici comunali preposti.

Bloccare l'accesso al mare significa impedire il libero e legittimo godimento di un diritto pubblico importantissimo. La suggestiva e bellissima spiaggia di San Nicola è un bene collettivo di proprietà dell'intera cittadinanza, vastese e non solo. Non è quindi accettabile che privati, con atti unilaterali, vengano a privarne la collettività. L'azione di "pulizia" rende quanto accaduto ancora più grave evidenziando scarsa attenzione e tutela del patrimonio verde.

Negli anni ci siamo mobilitati innumerevoli volte per chiedere la salvaguardia del territorio e del litorale vastese, compresa la spiaggia di San Nicola. Davanti a questo nuovo atto, che a noi appare assurdo e inqualificabile, torniamo a chiedere l'attivazione di tutti gli strumenti amministrativi e politici per la tutela della costa vastese. La Legge n.5/2007, che istituì il Sistema delle Aree Protette della Costa Teatina, stabilisce precisi divieti e tutele nell'area 150 metri a monte e a valle dell'ex tracciato ferroviario, destinato a diventare la "Via Verde della Costa Teatina". Chiediamo che la provincia, che diventerà proprietaria delle aree di risulta con il Protocollo d'Intesa firmato con "Ferrovie dello Stato", si attivi al più presto per un censimento dei terreni che la stessa "Ferrovie dello Stato" ha dato in concessione ai privati ed attivi subito procedure per rientrarne in possesso così che questi terreni possano tornare di proprietà  pubblica. La stessa legge 5/2007 prevedeva che, entro 60 giorni, dovesse essere avviata la procedura per la redazione del Piano di Assetto Naturalistico e che, entro il 31 gennaio di ogni anno, la Provincia avrebbe dovuto predisporre ed approvare il Piano di Gestione. Tutto questo è sostanzialmente rimasto lettera morta mentre, come la triste attualità di oggi ci dimostra, sono stati innumerevoli gli atti di privati in direzione diametralmente opposta. Torniamo quindi a chiedere con forza che venga recuperato il tempo perso e si dia piena attuazione alla Legge n. 5 del 2007. Ricordiamo, infine, che dallo stesso 2007 si attende anche l'istituzione (finita totalmente nel dimenticatoio!) della Riserva Naturale di Casarza. Il non aver adempiuto a tutto ciò, abbandonando questo bellissimo tratto litoraneo, ha portato ai risultati che tutti possiamo vedere con un'espansione edilizia totalmente incontrollata.


ASSOCIAZIONE ARCI VASTO
ASSOCIAZIONE WWF ZONA FRENTANA E COSTA TEATINA
 
[Fonte: I Colibrì]

Ri-appropriarsi dei tempi. Do Nothing Day: l'inazione come forma di azione

Alighiero Boetti, Il dolce far niente, 1975, Napoli, M.A.D.R.E.


Mercoledì 4 aprile 2012, Grecia – Un farmacista in pensione, Dimitris Christoulas, si suicida con un colpo di pistola alla tempia. Ad Atene. All'ingresso di una stazione della metropolitana. Nei pressi del parlamento. Ora di punta. Sul suo corpo, un biglietto:
Il governo Tsolakoglou (*) ha letteralmente annientato la mia capacità di sopravvivere con una pensione decente, per la quale avevo già pagato (senza aiuti dallo stato) 35 anni di contributi.
Ho un’età che mi impedisce una reazione più attiva (ma se qualcuno decidesse di impugnare il kalashnikov, sarei il primo a seguirlo), non ho altra soluzione che farla finita in modo dignitoso, prima di ridurmi a rovistare nella spazzatura per poter mangiare.
Io credo che un giorno i giovani senza futuro prenderanno le armi e appenderanno i traditori del Paese in Piazza Syntagma, come fecero gli italiani con Mussolini nel 1945.

(*) Georgios Tsolakoglou fu il primo ministro collaborazionista durante l'occupazione tedesca del 1941-42, il biglietto stabilisce subito un parallelo tra quel governo d'occupazione e l'attuale governo Papademos.
Il suicidio di Christoulas non è un evento isolato, per quanto questo si differenzi da altri casi simili per la chiara connotazione politica del messaggio. In Grecia il tasso di suicidi nei primi cinque mesi del 2011 è cresciuto del 40%, ma anche in altri paesi europei toccati dalla crisi economica, come l’Italia (1; 2; 3), si sta registrando un sensibile aumento di quelle che gli psichiatri si sono affrettati a definire “morti economiche” – eufemismo per “omicidi perpetrati da un disumano sistema economico in crisi” – senza tener conto della durata di queste morti.

Sono «morti lente», come giustamente le chiama Valerio Monteventi, inserendo il fenomeno in una cornice temporale, «lente perché non avvengono improvvisamente, seguono un travaglio che accompagna il soggetto per giorni e per mesi prima di arrivare alla tragica scelta».
Si tratta, infatti, di lavoratori e lavoratrici che hanno perso il posto di lavoro, che faticano ad arrivare alla fine del mese svolgendo lavori precari o sottopagati, che non riescono a trovare alcun tipo di occupazione, e decidono di togliersi la vita, di farla finita. Il suicidio appare non solo l’unica degna alternativa ad una vita indegna d’essere vissuta, ma anche la sanzione fisica di una morte sociale già avvenuta.
Inoltre, se al numero delle morti volontarie di persone suicide si somma quello dei lavoratori uccisi dalle sempre più precarie condizioni di sicurezza sul posto di lavoro – dacché anche una riduzione delle tutele fisiche è diretta conseguenza di quello smantellamento sistematico dei diritti dei lavoratori in atto già da diversi anni – il computo dei morti per la crisi è destinato a crescere in maniera considerevole e assumere dimensioni terrificanti.
 
E va rilevato anche un altro dato preoccupante. Invece di fornire adeguati materiali informativi per poter meglio affrontare riflessioni critiche sulle dinamiche reali alla radice del boom dei suicidi, per via di un inveterato, spontaneo, asservimento al potere economico e politico, i media mainstream tendono ad occultare artatamente i cadaveri prodotti dalla crisi, nascondendo il quadro generale di riferimento.
Così in Italia, dove ormai siamo abituati al disservizio mediatico, come in Grecia. 
Mentre i cittadini scendevano in piazza Syntagma per manifestare ancora una volta il loro dissenso dalle sconsiderate scelte politiche ed economiche che hanno portato il paese sull’orlo del baratro e i cittadini al suicidio, i media greci tentavano di coprire qualsiasi riferimento che potesse condurre ad una lettura politica del gesto di Christoulas, manipolando la notizia e il testo del messaggio, motivando l'atto estremo in funzione filo-governativa, inserendolo forzatamente in una surreale cornice di patriottismo e devozione al paese.
Al contrario, le ultime parole di Christoulas, le sue intime speranze, sono espresse con estrema lucidità e incisiva chiarezza:
Io credo che un giorno i giovani senza futuro prenderanno le armi e appenderanno i traditori del Paese in Piazza Syntagma, come fecero gli italiani con Mussolini nel 1945.
Lottare per liberare il paese da un governo burattino della finanza mondiale.

Ma è possibile pensare a forme alternative di protesta che abbiano la stessa efficacia della resistenza armata?
Se lo chiede Franco “Bifo” Berardi in un articolo dal titolo quasi lapalissiano, L’Italia non è la Grecia, pubblicato circa due mesi fa (il 12 febbraio 2012) nel sito del Collettivo Uninomade e nel suo Blog sul sito della rivista «MicroMega»:
La Grecia è in fiamme. Perché in Italia non sperimentiamo una nuova forma di azione, che magari consista nell’inazione, nel rifiuto di partecipare di collaborare di contribuire? Perché non proviamo a organizzare il Do Nothing Day che una ragazza greca, Alexandra-Odette Kypriotaki ha proposto dopo aver constatato che il popolo greco con l’azione e la mobilitazione non è riuscito a difendere nulla? 
La proposta di un Do Nothing Day, una forma di protesta attraverso inazione, è stato esposto e motivato dalla Kypriotaki durante il suo intervento [qui l'audio] alla conferenza Knowledge against financial capitalism (KAFCA), tenutasi a Barcellona dal 1 al 3 dicembre 2011 nei locali del MACBA (Museu d’Art Contemporani de Barcelona). In una nota pubblicata sul suo profilo di Facebook, riproposta anche sul sito della rivista «Loop», Berardi precisa:
Il suo intervento [di Kypriotaki] mi è sembrato provocatorio e suggestivo: «né lottare né scontrarsi ma disertare. Non rivendicare non chiedere, ma dispiegare qui e ora nel mondo ciò che vogliamo vivere. Non agire non mobilitarsi, ma lasciarsi andare all’abbandono di ogni aspettativa. Trasformare in forza la nostra debolezza. Il capitalismo ci chiede una disponibilità continua al desiderio, al contatto, alla produzione. Un tempo permanentemente occupato, sotto pressione alla ricerca di risultati che si fanno sempre più difficili da ottenere. L’obbligo di essere contenti ottimisti e positivi. Dobbiamo proiettare l’immagine di quello che sappiamo, che tutto va bene, che teniamo tutto sotto controllo, che siamo forti. Ma, l’attivismo politico non rischia di chiederci spesso la stessa cosa? Lotte, risultati, la risposta pronta, fuori i timidi, i dubbiosi e i malinconici... Perché non formare un esercito di deboli, di goffi, di ignoranti? Il messaggio sarebbe: siamo depressi, e allora? Il programma: non so. Lo sciopero è il non fare nulla di nulla, Do Nothing Day, un mercoledì, poi anche il giovedì e così via. Come canta Nacho Vegas, il 15M spagnolo ha cambiato il significato di alcune parole, come "sfruttare". Un amico mi ha spiegato qualche tempo fa che la cosa forte delle piazze occupate era la scoperta collettiva del fatto che il lusso vero non ha a che fare con il consumo ma con un altro modo di vivere il tempo, con l’esperienza di fare molto con molto poco, l’incontro con altri coi quali non ti saresti mai incontrato, le nuove amicizie. La ricchezza autentica è quella che ci diamo l’un l’altro quella che circola e non si possiede».
Questo sunto di Franco Berardi, l’audio della conferenza di Barcellona e un testo intitolato Una nuova zona temporale dell’essere (I greci e la neo-psichedelia), reperibile in inglese e spagnolo (e non è chiaro se ambedue le versioni siano traduzioni di un originale in greco), sono le uniche tracce dell’idea della Kypriotaki presenti in rete (o almeno, le uniche che sono riuscito a scovare).
In particolare, Una nuova zona temporale dell’essere è un testo notevole non solo perché è l’elaborazione di un originale punto di vista sul tema delle forme di protesta e di lotta al sistema, da parte di una persona che ha vissuto direttamente la crisi greca, le azioni, le reazioni, e che quindi ha potuto riscontrare con i propri occhi l’efficacia, o inefficacia, dei metodi adottati; ma, soprattutto, perché centra l’attenzione sulla dimensione temporale della lotta, sul fatto che un vero cambiamento può avvenire soltanto cercando di agire per cambiare i "tempi", cambiando innanzitutto le modalità di gestione e di fruizione del tempo.

Negli ultimi anni, le lotte e le proteste di piazza si sono basate sul tentativo di conquista e occupazione dello spazio, di assalto a luoghi simbolo del potere, dunque hanno avuto una qualità topologica, si sono mosse in una dimensione spaziale. Si può trovare una spiegazione della loro inefficacia considerando che il tardo capitalismo – come ha messo in evidenza Wu Ming 1 [L'occhio del purgatorio: i tempi della rivolta e dell’utopia] richiamando l'elaborazione teorica di Fredric Jameson – per quanto perfettamente traducibile in termini spaziali, per via dell’inestricabile connessione tra dimensione spaziale e temporale, in realtà è definito prevalentemente dalla temporalità, da cui deriva il suo essere immateriale, caratteristica che differenzia il tardo capitalismo dalle forme precedenti. Dunque, il tardo capitalismo essendo strutturato temporalmente impone una tirannia dei tempi. Wu Ming 1 sostiene che la retorica degli spazi fa dimenticare che l’elemento cardine, il vero problema, è il controllo sul tempo: non si può vivere una spazialità diversa senza stabilire una diversa temporalità. Per spezzare la tirannia dei tempi del capitalismo è necessario controllarne i tempi, senza sottostare a quelli imposti dal potere. Ad esempio, le manifestazioni di protesta organizzate in corrispondenza di una scadenza istituzionale, quindi stabilita dal potere (come un voto di fiducia per il governo, ecc.), spesso finiscono per essere delle vere e proprie trappole, come è accaduto per il G8 e il 14 dicembre 2010: in quelle occasioni i tempi della protesta sono stati resi «subalterni a quelli della politica ufficiale». Una manifestazione che si configura quasi come un assedio al palazzo del potere traduce il tempo del movimento e della protesta in termini spaziali, ma «non si può assediare oggi questo potere,» spiega Wu Ming 1 «perché questo capitalismo è delocalizzato, è immateriale, quei palazzi sono quasi dei gusci vuoti». Il movimento deve essere ubiquo, deve colpire ovunque; è necessario fermare il tempo del potere e imporre al sistema una temporalità impostata sui ritmi e le scadenze del movimento e della protesta.

Il movimento #Occupy ha messo in atto forme di occupazione molteplice degli spazi e di ridefinizione delle temporalità, così come il Movimiento 15-M spagnolo e gli “Indignados” greci, esperienza cui si ispira la Kypriotaki per l’elaborazione della sua idea relativa all’inazione come forma di protesta. Secondo l’attivista greca si tratterebbe di trasformare un elemento di debolezza, come la depressione (già da tempo endemica in Grecia a causa della crisi economica), che inevitabilmente conduce all’inazione, alla rassegnazione, nei casi estremi al suicidio, in un punto di forza per il singolo e per la collettività; scoprire una nuova zona temporale dell’essere, che permetta ad ognuno di recuperare il proprio tempo (sottraendolo, quindi, al dominio del sistema capitalistico) e che permetta di sintonizzarsi nuovamente sulla propria soggettività, immergersi nel proprio essere organico, e ritrovare un senso di comunità, ri-costruire la collettività sulla base della condivisione delle proprie debolezze.
  
Ogni sintesi può essere in qualche modo riduttiva di un testo abbastanza denso di spunti come quello di Alexandra-Odette Kypriotaki, per cui ho tentato di tradurlo in italiano (facendo un confronto fra la versione inglese e quella spagnola) [si può leggere qui], per renderlo più accessibile anche a chi non ha dimestichezza con la lettura in altre lingue, e poter avere in questo modo un’idea più precisa in merito a questa proposta, a mio avviso intelligente, che certo non va presa come la risposta definitiva agli interrogativi riguardo la metodologia da adottare nelle lotte e nelle manifestazioni di protesta (dal momento che la forma della rivolta va necessariamente commisurata alle necessità specifiche e alla circostanza particolare), ma è sicuramente uno spunto affascinante per cominciare a ripensare le modalità di costruzione del dissenso entro coordinate temporali e non solo spaziali.

E per sottolineare, in chiusura, quanto sia importante per il potere mantenere il controllo sul tempo e sulle temporalità, vorrei attirare l'attenzione su questa recente notizia apparentemente banale: mentre saluta e stringe le mani dei suoi sostenitori, Nicolas Sarkozy si rende conto che sta per perdere l’orologio da polso e prontamente lo infila nella tasca della giacca. Quello del presidente francese potrebbe essere soltanto un gesto istintivo per in mettere in sicurezza un oggetto che certamente ha un notevole valore affettivo ed economico. Eppure in quel rapido riporre l'orologio in tasca si può anche intravedere la preoccupazione e il timore, quindi la pronta reazione, di un uomo di potere al pensiero di perdere l'oggetto simbolo del suo controllo sul tempo, oltretutto con il rischio che questo possa essere smarrito tra la folla: il tempo del potere non può mica finire in mano al popolo!
Ma forse non è necessario entrare in possesso dell'orologio del presidente per liberarsi dai vincoli temporali imposti dal potere. Inventare una nuova temporalità, una nuova zona temporale del proprio essere, alternativa ai ritmi del potere, del sistema capitalistico, può essere già un primo passo verso la liberazione.