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La teoria "Punta Penna", ovvero come fottersi con le proprie mani e in meno di tre generazioni


di Osvaldo Francese

Vi e' un luogo del sud Abruzzo che può essere preso ad esempio per quale tipo di idee si siano sviluppate nel corso dei vari governi sia a livello macro che locale. Questo posto si chiama Punta Penna, amena spiaggia intorno alla quale si svolge tutto un turbinio di fermenti umani. Su tale ubicazione di poco più di 3 km² infatti premono diverse attività anche in contrasto fra di loro e che nel corso degli anni hanno visto una programmazione di politiche quantomeno dubbia nel far convivere differenti interessi se non addirittura in taluni casi schizofrenica. Proprio in quell' area, allargata fino alla Strada Statale 16, coabitano i seguenti settori socio-economici e urbani: zona artigianale, zona industriale, zona commerciale, zona militarizzata, porto mercantile e potenzialmente petrolifero, riserva naturale regionale, zona archeologica (mai veramente valorizzata), quartiere periferico cittadino, una discoteca, campi agricoli a prevalente carattere cerealicolo e vitivinicolo, aziende agrituristiche e una stazione ferroviaria con annesso interscambio al raggruppamento industriale. Poco più sotto, dopo il torrente Lebba, ritroviamo anche un campeggio. Il tutto in un municipio,quello del comune di Vasto, che ha visto una forte esplosione edilizia e conseguente depauperamento civico. Col passare degli anni, in tutto lo stivale come in parte della regione abruzzese, si e' avuta dapprima l'epoca della prima industrializzazione di massa e la creazione dei distretti di zona, poi lo sviluppo del settore delle piccole imprese, poi lo sguardo si e' rivolto presso l'industria del turismo e poi alla protezione ambientale. Ma con l'evidente difficoltà che prima o poi questi comparti si sarebbero pestati i piedi a vicenda e che sarebbero entrati in conflitto laddove l' Europa e nella fattispecie l' Italia non e' immensa come gli Stati Uniti o gigantesca come la Cina. L'aver dato fondo a tutte o quasi le idee disponibili ha fatto ben presto esautorare gran parte delle capacita' d'urto dell'ecosistema, e tutto questo nell'arco di meno di 60 anni. La teoria “Punta Penna” e' proprio questo: l'atteggiamento della classe dirigente a fare di un territorio orograficamente limitato e sensibile, meta di qualsiasi varietà e gamma di impiego e di sfruttamento, in maniera inclassificata e senza una linea guida che selezionasse dei criteri attraverso cui indirizzare in un senso o in un altro l'andamento delle azioni da implementare. Cio' che e' stato fatto a Punta Penna infatti, sin dalla realizzazione del porto avvenuta negli anni '60, e' quello di aver permesso tutto e il contrario di tutto, dando vita a forti difformità di ricadute diffuse e a discrepanze nette in termini di vantaggio-svantaggio sia occupazionale che ambientale e paesaggistico. Le scorse gestioni hanno permesso di introdurre qualunque forma di sistema produttivo senza ben valutare cosa avrebbe comportato nei medi e lunghi periodi. Punta Penna e' l'esempio eclatante, nel piccolo agglomerato circoscritto, di ciò che accade nello sviluppo delle decisioni nazionali. In ambo i casi si progetta e si ipotizzano di impiantare poli manifatturieri o di deregolamentare un tessuto urbanistico senza un piano ben preciso ma dettato solamente dal momento storico di dover aumentare il Prodotto Interno Lordo o di sperare di poter innescare cicli di crescita valutaria. Tutto questo ad esempio senza  minimamente tener conto dei possibili effetti (a molti piace la parola “esternalità”) negativi. E quindi si pretende di far condividere i Parchi Nazionali con l'Alta Velocità, le industrie inquinanti con l'agricoltura di qualità, l' incontrollata crescita urbana con l'erosione delle coste, le raffinerie con il turismo marino,gli inceneritori con gli ospedali. Esempi forti,e in taluni casi davvero esistenti, che devono far sterzare il modo di pensare la pianificazione futura. Altrimenti saremo fottuti e in meno di tre generazioni. Le questioni della cava sottomarina due anni fa e dei progetti di centrale a biomasse e l’impianto Recogen di Puccioni allo stato attuale, sono la dimostrazione chiara che si e' giunti ad una semi saturazione delle risorse e dei suoli, intesi come beni disponibili e come superficie geografica ancora valida da utilizzare. In futuro e' assai probabile che nasceranno sempre più contrasti fra i promotori di sviluppo a carattere industrialistico e popolazioni locali poiché e' palese che i vari interessi di vicinanza fisica non collimano (sempre che collimassero in passato, ma ci sono seri dubbi) e anzi lo spazio per profittare di un terreno e' ridotto ormai al lumicino. E questo specie se si parla di impatti elevati a livello ecologico. E poco regge il discorso del rilancio occupazionale o della crescita economica: gli odierni piani demografici e di mantenimento della qualità di vita non permettono ulteriori scatti in avanti in senso alterante e anzi vanno posti subito dei rimedi tali in grado di conservare un bilanciamento che sia il meno a discapito del rapporto società/mondo. In altro modo, le decisioni future non possono che avere segno restrittivo e poco propenso all'espansione illimitata rispetto ad un pianeta che ha forti limiti di sostenibilità rispetto al nostro agire. E questo vale per Punta Penna come per Santa Monica, per Puccioni come per la Nike, per il governo amministrativo di Vasto come per quello di Tokyo.

Fonte di ispirazione: "I limiti dello sviluppo",Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers,1972.

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