Qualche centinaio di lavoratrici
e lavoratori ieri hanno aderito allo sciopero Fiom e partecipato all’assemblea
davanti i cancelli Sevel. Non ha potuto esserci Maurizio Landini, segretario
generale Fiom che ha dovuto rinunciare ad intervenire a causa di problemi
familiari. Era presente, invece, il presidente del comitato centrale Fiom,
Giorgio Cremaschi che intervenendo tra i lavoratori ha definito «sindacati-vasellina»
le organizzazioni che sono «in accordo con il padrone». Ovviamente si sta
parlando di quei sindacati che hanno firmato l’accordo Fiat che, con un
atteggiamento fascista, ha sbattuto fuori dalle fabbriche Fiat i sindacati come
la Fiom che non sono d’accordo con l'azienda. Viene così impedita una reale rappresentanza dei lavoratori e perciò la Fiom invita lavoratrici e lavoratori ad annullare la scheda con la quale in questi giorni si eleggeranno le RSA in Sevel, apponendo su di essere un adesivo, distribuito nel corso dell'assemblea, che riporta il simbolo dei metalmeccanici della Cgil e la scritta "Io voglio la Fiom in Fiat".
E forse è il caso di ricordare
cosa Fiat pretende dai lavoratori e cosa Fiom e sindacati di base non hanno
firmato, che è il motivo per il quale oggi viene impedito loro di rappresentare i
lavoratori in fabbrica. L’accordo che Cisl, Uil, Fismic e Ugl hanno firmato lo
scorso dicembre con Fiat, riduce a questione privata i diritti dei lavoratori,
limitando il diritto di sciopero (non permesso nei periodi di cosiddetta “tregua
sindacale”) e la rappresentanza di sindacale (visto che solo chi firma le
volontà del padrone ha diritto di rappresentanza); nel frattempo vengono
imposti ritmi di lavoro molto più alti ed a rischio per la salute dei lavoratori (anche attraverso la nuova metrica
chiamata Ergo-UAS) e maggiori carichi di lavoro imposti (lo straordinario
comandato passa da 40 ore annuali a 120 ore). È chiaro perciò a cosa si
riferisce Cremaschi quando afferma che «in questo momento il lavoratore rischia
tutto e invece alla Fiat è concesso di fare ogni genere di offensiva pur continuando
a perdere quote di mercato: sono i dirigenti e i tecnici incompetenti che
devono andare a casa, non l’articolo 18».
E proprio la manomissione dell’articolo
18 era, insieme alla democrazia in fabbrica ed alla rappresentanza sindacale, all’ordine del giorno dello
sciopero di ieri. Temi tra loro connessi, perché, come recitava il volantino
distribuito da Rifondazione Comunista, presente davanti i cancelli Sevel con
molti militanti, la riforma del lavoro del governo Monti ed il piano Marchionne
sono due facce della stessa medaglia. Perché manomettere l’articolo 18, oltre
che a spaventare lavoratrici e lavoratori che per condizioni di lavoro si avvicinano
sempre più ai loro colleghi serbi o
polacchi, serve a «colpire i sindacati più combattivi come la FIOM e per abolire ogni
residuo di democrazia interna nelle fabbriche». È in questo senso che la
riforma del lavoro del governo Monti appare come il tentativo di trasformare in
legge il piano Marchionne.
Contro la manomissione
dell'articolo 18 contenuta nel disegno di legge di riforma del lavoro,
solo ieri ed in meno di due ore, sono state raccolte circa 200 firme.
Queste si vanno ad aggiungere alle centinaia già raccolte in tutto il
territorio abruzzese dalla Federazione della Sinistra - Rifondazione
Comunista, che intanto promuove, per il prossimo 12 maggio a Roma, una manifestazione nazionale
contro le politiche liberiste del governo Monti e per costruire
un'alternativa che si basi su giustizia sociale, riconversione ecologica
dell'economia, lavoro stabile e di qualità, rilancio della democrazia.
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